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Un’Italia senza pensieri Piccolo in giro per la penisola
Einaudi ripropone il resoconto del viaggio sui luoghi del “basso intrattenimento” Lo scrittore racconta il pubblico di “Domenica In” e il cinema di “Natale a Miami”
Torna in libreria – a distanza di sette anni dalla sua prima edizione (quando uscì per Laterza) – il resoconto del viaggio di Francesco Piccolo lungo “L’italia spensierata” (Einaudi, pp. 162, 10 euro). Un viaggio scrupolosamente pianificato dal celebre scrittore e sceneggiatore dentro i luoghi del “basso intrattenimento” o attraverso i più biechi riti collettivi della massa; un mondo a lui sconosciuto e sempre guardato con sospetto, se non con aprioristica riprovazione, con il quale però ha deciso di provare a confrontarsi, mettendo finalmente alla prova le sue marmoree certezze.
E le tappe di questo itinerario sono senz’altro estremamente significative: un intero pomeriggio tra il pubblico di “Domenica in”; una giornata passata tra due autogrill in autostrada; la prima di “Natale a Miami”, il 26 dicembre, nel multisala Adriano a Roma; un’inquietante gita a Mirabilandia, con la figlia di sette anni e la sua migliore amica; e, infine, come epilogo e insieme controcanto del racconto, le notti bianche di Roma. Le intenzioni di Piccolo sono dichiarate: «Io mi sono sempre sentito diverso da quelli che guardano “Domenica in” o “Natale a Miami” o si infilano negli ingorghi delle vacanze. È tutta la vita che mi baso su tali certezze. Poi queste certezze hanno cominciato a vacillare quando ho capito che c’è una correità in ogni cosa che accade in un paese, e di questa correità mi sono fatto carico attraverso un percorso di sincerità. Voglio capire, e quando voglio capire già mi basta, già sono disponibile e contento di starci. Non solo. Azzardo di più: sono anche sicuro che sono almeno un po’ così anche tutti gli altri che sono sicuri di non essere così». L’autore ne è convinto: indagare questa «parte oscura» è necessario per capire più sé e gli altri (anche se la proiezione di “Natale a Miami” lo fa vacillare pericolosamente). Eppure nella prolissa, iper-descrittiva scrittura di Piccolo c’è qualcosa che non torna. Manca sempre un qualunque moto di sincera empatia o comprensione, e anzi, quando si sforza di trovarla, non può che cadere nella trappola dell’imperativo ideologico: «Ridiamo alle spalle di tutti quelli che sono più ignoranti di noi, e così ci sentiamo più intelligenti. Se sono qui oggi, è perché sto con i primi. È una scelta ideologica». Una scelta questa, che però trasuda sempre un malcelato disprezzo. Ed è un peccato, perché nell’epilogo, nella delusione provocata dalla serializzazione delle notti bianche – e dalla cultura “alta” – l'autore sembra trovare finalmente la misura e la lucidità giusta.
Anche perché, se esiste una correità nello sfacelo culturale di questo paese, Piccolo ha decisamente guardato nella direzione sbagliata.