La Nuova Sardegna

l’industria strategica

Solo due mesi per salvare lo stabilimento

Solo due mesi per salvare lo stabilimento

OLBIA. Loro ci speravano. Anche di mattina, in aeroporto a Olbia, avevano mostrato timidi segnali di fiducia: Alcoa può rinascere, sotto un altro nome, quello di Glencore. Di pomeriggio, da Roma, è...

11 novembre 2014
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OLBIA. Loro ci speravano. Anche di mattina, in aeroporto a Olbia, avevano mostrato timidi segnali di fiducia: Alcoa può rinascere, sotto un altro nome, quello di Glencore. Di pomeriggio, da Roma, è arrivata la notizia tanto attesa: Governo, Regione e Glencore hanno firmato un protocollo d’intesa per far riprendere la produzione allo stabilimento di Portovesme. Un impegno che andrà verificato passo dopo passo e che ha come obbiettivo quello di abbassare il costo dell’energia, troppo alto; la causa del blocco della produzione secondo la multinazionale americana. Un’intesa che - portando i costi di produzione dagli attuali 74 euro megawattora ai 30 della media europea - potrebbe salvare la fabbrica e, insieme, 800 posti di lavoro. Tutto questo prima del 31 dicembre 2014, giorno in cui scadranno i due anni di cassa integrazione per gli operai di Alcoa. «Alcoa produce alluminio primario, e siamo fermi dal 1 novembre 2012 - dice Rino Barca, Cisl, parlando con il pilota Andrea Mascia -. La nostra fabbrica produceva 150 mila tonnellate all’anno, e il fabbisogno italiano è di un milione di tonnellate. È chiaro che la nostra fabbrica ha un futuro, se riusciremo a ottenere l’abbattimento del costo energetico. Il mercato c’è. Basti pensare che Alcoa, nel mondo, fornisce oltre il 90% dell’alluminio per la costruzione degli aerei. Anche le Ferrari, le Audi sono fatte con il nostro alluminio». E allora tutti a sperare in Glencore, il colosso che ha come azionista di peso il Qatar. «Io una figlia all’università e per quest’anno, facendo sacrifici, potrà continuare a studiare – dice Bruno Usai (Fiom-Cgil) –. Ma, se il 31 dicembre perderemo il lavoro e andremo in mobilità, sarà impossibile che continui. E di questi casi ce n’è a centinaia. Noi, come dipendenti diretti di Alcoa, abbiamo la cassa integrazione, veniamo pagati ogni mese.

Ma quelli delle società dell’indotto, 300, hanno la cassa in deroga e spesso aspettano mesi per avere i soldi. Tanto che molti di loro hanno preferito essere licenziati, così prendono la mobilità, soldi sicuri, Un dramma nel dramma». (g.pi.)

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