La Nuova Sardegna

La Sardegna resta una terra di emigranti

di Felice Testa
La Sardegna resta una terra di emigranti

Il numero di chi parte in cerca di lavoro supera quello di chi sbarca. Gli immigrati residenti sono 42mila (novemila i romeni)

30 ottobre 2014
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CAGLIARI. «La Sardegna resta una terra di emigranti. Il numero di chi parte in cerca di lavoro supera quello degli immigrati che arrivano nell’isola. Gli stranieri residenti compensano appena il saldo naturale negativo, con un tasso di natalità che si attesta sul 7,2%, contro l’8% nazionale». Gianni Loy, docente di Diritto del lavoro dell'università di Cagliari, nel presentare, ieri, alla facoltà di Economia e Commercio, il dossier statistico Immigrazione 2014, dell’Unar, a cura del centro studi e ricerche Idos e del Centro studi relazioni industriali (Csri) dell'ateneo, descrive un fenomeno migratorio governato dalle dinamiche economiche, nel quale chi arriva e chi va via lo fa spinto dalle esigenze del mercato del lavoro, con la crisi che incide anche sulla condizione degli immigrati. Nel 2013 in Sardegna 1.420 lavoratori nati all’estero hanno perso il lavoro (dei quali 850 nella sola provincia di Sassari) con un calo mai registrato prima. Dal convegno, coordinato dal presidente della Fnsi Franco Siddi, emerge come, al di là delle cifre, rimangano i luoghi comuni da sfatare sugli immigrati, i pregiudizi e il percorso ancora difficile per passare dalla discriminazione ai diritti. «Non è vero che gli immigrati portano via lavoro ai sardi – dice Gianni Loy –. Concorrono a colmare un deficit dannoso per l'economia. Gli studi della Ue lo dicono chiaramente: senza nuovi immigrati la nostra economia soffre».

Il numero degli stranieri residenti in Sardegna, a fine 2013, è di 42.159, con un aumento di 6.549 unità (18% in più) rispetto al 2012, con un’incidenza del 2,5% sulla popolazione complessiva dell’isola.

«In Sardegna – spiega Tiziana Putzolu, dell’Idos – i residenti stranieri si sono insediati prevalentemente nelle aree costiere di Cagliari (13.880) e Olbia (10.678), mentre il Medio Campidano, con l’1,2%, è la provincia con il minor numero di immigrati in Italia. Le collettività estere più rappresentate – precisa – sono quella romena (9.654), seguita da quella ucraina (1.682), mentre i residenti africani sono, complessivamente, 8.348, con prevalenza marocchini e senegalesi e i cittadini asiatici sommano a 6.235, in maggioranza cinesi e filippini». Dei pregiudizi “di antica data”, nei confronti della comunità cinese parla Barbara Onnis, ricercatrice di Scienze Politiche, che sottolinea come l’immigrazione cinese in Sardegna venga percepita in bilico tra pericolo e opportunità. «I cinesi – dice – vengono considerati come una comunità chiusa, autoreferenziale, come concorrenza sleale nel commercio. È, invece , necessario considerare quali opportunità offre questa presenza, a partire dagli accordi economici e commerciali , allo sviluppo del turismo, allo studio della cultura e della lingua cinese, che può rappresentare una chance in più per i nostri giovani».

Di passaggio dall’integrazione alla reciprocità, parla don Marco Lai, responsabile Caritas: «Occorre moltiplicare – afferma – le occasioni di incontro per la reciproca conoscenza, affrontare con più attenzione i problemi degli immigrati e estendere le politiche sociali come diritti di tutti. Bisogna affrontare l’emergenza abitativa e dare opportunità a chi esce dai centri di accoglienza. Per loro non c’è nulla, l’unica alternativa è la strada».

Quello che, davvero, manca, ancora, è il “diritto di avere diritti”. «I nuovi cittadini del nostro paese – rimarca Annamaria Baldussi, docente di Storia e istituzioni dell'Asia – devono avere diritti, poichè questo è un elemento fondante dell’inclusione. L’Italia ha preso atto che è diventata una realtà multireligiosa. Si praticano, nel nostro paese, 836 religioni diverse, ma non esiste una legge sulla libertà religiosa. Quando parliamo di parità dei diritti religiosi, parliamo di questioni concrete, quotidiane, di mense scolastiche, di assistenza spirituale agli infermi negli ospedali. La tutela della parità dei diritti è la condizione per raggiungere l’obiettivo dell’inclusione, che è molto di più dell’integrazione».

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