La Nuova Sardegna

Basir Ahang canta il dolore della sua gente

di Antonio Mannu
Basir Ahang canta il dolore della sua gente

A Sassari “Ottobre in poesia”: il poeta racconta la persecuzione dei talebani contro la minoranza hazara in Afghanistan

20 ottobre 2014
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SASSARI. Basir Ahang è un giovane poeta e giornalista hazara, rifugiato politico nel nostro paese dal 2008. A causa di minacce di morte e insicurezza per la sua incolumità ha lasciato l’Afghanistan e Kabul, la sua città. Laureato in letteratura persiana vive a Padova e studia Relazioni Internazionali. Gli hazara, il suo popolo, sono una delle etnie del mosaico di genti che abitano l'Afghanistan, appellativo che Basir non ama. «Non scriva che sono afgano. Sono un hazara che vive in una terra che solo dall’ottocento è chiamata Afghanistan. Il nome antico è Khorasan; in farsi, la lingua persiana, significa “terra dove origina il sole”. Oggi il Khorasan è diviso in tre regioni dell’Iran. Ma un tempo si estendeva su gran parte dell’attuale Afghanistan, compresa la regione di Kabul. Per noi hazara questo è importante, perché afgano indica i pashtun, oggi l’etnia maggioritaria nel paese. E sono i pashtun che, a partire dal regno di Abdur Rahman Khan, emiro dell’Afghanistan, ci hanno perseguitato».

Gli hazara, al contrario di gran parte della popolazione che è sunnita, hanno fede sciita. Secondo alcuni studiosi sarebbero di origine mongola, discendenti dell'armata di Gengis Khan. Secondo altri sarebbero i posteri dei kushani, antichi abitanti della regione, gli edificatori dei grandi Buddha di Bamiyan. Secondo altri ancora si tratterebbe di genti di origine turcomanna (uigura-turca). A ridosso della distruzione dei grandi Buddha, nel 2001, gli hazara hanno vissuto un massacro ad opera dei talebani.

«I talebani nel 2001 hanno preso il controllo dell’Hazaristan, arrivando sino a Bamiyan. Quando sono entrati nella regione hanno fatto rastrellamenti nei villaggi della provincia di Yakawlang. Hanno raccolto nelle piazze uomini, donne e bambini, li hanno uccisi. Per Human Rights Watch sono morte almeno 500 persone, in realtà sono state migliaia». In ricordo di quel massacro Basir ha scritto una poesia, “Quella fottuta notte”, che ha recitato in parsi e in metrica al Civico di Sassari. «Quando hanno sparato l’ultimo proiettile era notte. Le strade di Bamiyan erano chiuse». Per questi versi Basir è arrivato in Sardegna per Ottobre in Poesia. «Quella notte la pazzia dominava ovunque, e noi miserabili, nelle calli magiche di Venezia, restavamo bloccati con lanterne spente tra le mani». La poesia ha ricevuto il premio speciale della critica per la sezione singola inedita. “La vostra città all’alba era distrutta e noi miserabili ballavamo ancora nell’oscurità dei nostri pensieri. Quella fottuta notte”. Basir ha lavorato come attore nel corto “L’ospite” del regista hazara Amin Wahidi, che quest’anno ha vinto il premio Città di Venezia. Racconta la storia di un giovane fuggito dalla guerra, giunto a Venezia dopo lungo viaggio. E’ lui l’ospite inatteso in una città che accoglie ogni anno schiere di turisti. Il film denuncia la gestione dell'accoglienza dei rifugiati. «In Italia per i rifugiati vengono spese cifre importanti, ma molto poco va a nostro beneficio. I fondi che arrivano dall’Ue e dall'Onu sono gestiti dalle tante associazioni che si occupano di accoglienza, ma il reale obiettivo di molti di questi organismi è intercettare soldi, che poi gestiscono a loro vantaggio». Basir si sente ambasciatore del suo popolo. Per raccontarlo usa molte voci, tra queste la poesia.

«Un linguaggio universale, che comunica in ogni lingua e parla al mondo intero. Come la musica».

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