La Nuova Sardegna

Olbia, ricostruzione al punto zero

Olbia, ricostruzione al punto zero

Gli abitanti del quartiere di Isticcadeddu: «Viviamo con la paura che si ripeta. Fino ad ora non abbiamo visto nulla»

17 ottobre 2014
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OLBIA. Quartiere Isticcadeddu. Case e villini. Uno sterrato che ha ripreso le sembianze di una strada, rifatta come il Paese del genio e dell’improvvisazione consente, anche e soprattutto di fronte all’emergenza. La vita che riprende forma declinando il fare da sé, perché la mano pesante dello Stato non arriva. Trenta giorni prima dell’anniversario. Il cielo plumbeo si schiaccia sul rione diviso a metà dal canale del rio Siligheddu. Terrore sempre latente, davanti a tutte le quattrocento case, nella mente di tutte le quattrocento famiglie che le abitano. Promesse diluite, finanziamenti e ricostruzione al punto zero.

«La paura non è passata – confessa Giovanni Piredda –, può succedere tutto, di nuovo». Moglie e figlio invalidi a casa, salvati dalla figlia quando l’acqua sfondava porte e finestre. La sua casa è dall’altra parte del canale, in via Gessi. Ci si arriva attraverso un ponticello pedonale di quattordici metri, costruito trent’anni fa, consumato dal tempo, rigenerato con 800mila euro l’anno scorso, inaugurato in pompa magna un mese prima che l’esondazione lo incrinasse beffando tutti. Rocco Mele, pensionato, ha davanti agli occhi quel mostro che gli ha inondato l’abitazione, portandogli via tutto.

Quattrocento metri più in là ecco l’altro ponte. Un’arcata di venti metri, è l’ingresso a Olbia dal versante ovest. Nella cartografia della viabilità è la statale numero 127, ma il suo rango più alto sarebbe quello di strada di penetrazione agraria. Non c’è segnaletica, la carreggiata è stretta. Due auto non vi si possono incrociare. Sovrasta tre archi che la spinta dell’acqua, due metri più alta del livello stradale, hanno intasato con rami e un camion rovesciato. Il fiume è andato oltre, ha allagato il rione più in là, la zona Baratta. «C’era anche la mia auto, prima sballottata oltre il cancello all’interno del cortile, poi sospinta fuori e trasportata sino al canale – racconta Antonello Mele – . Viviamo con la paura che si ripeta, non abbiamo visto nulla, ci sentiamo sempre esposti al pericolo, nessun intervento decisivo, urgente, forte da parte delle istituzioni per mettere in sicurezza la zona».

Un disastro annunciato, lo sanno tutti. «Le responsabilità vengono da lontano – osserva Antioco Tilocca –, presidente del comitato di quartiere –. Da queste parti si è costruito senza regole, ora non si può più derogare, occorre una programmazione urbanistica seria, un piano regolatore». I brutti ricordi «si risvegliano» nella mente di Antonio Fresi, la casa sfondata dall’acqua, i familiari impauriti da ogni goccia di pioggia. Dall’altra parte del ponte Luciano Porcedda ha fissato al muro dell’ingresso una tacchetta con l’indicazione 1,40: l’altezza della valanga d’acqua che gli ha rapinato tutti gli arredi. «Abito qui da trent’anni, ho sempre immaginato che quel ponte ci avrebbe devastate le vite. Purtroppo ho avuto ragione. I soldi? Ci hanno dato 800 euro, il Comune, non sono bastati per pagare il gas che ho consumato nel tentativo di asciugare la casa. Nessuno tiene conto dei danni che abbiamo subito». Al dramma segue la beffa di un inverno terribile trascorso tra freddo e umidità in un residence che ha ospitato gli sfollati.

Lo scoramento è compagno della paura. «Dopo Genova non credo ci sia niente da fare – teme Erasmo Vitiello –. Chi ha visto i 130 milioni previsti per le opere di sicurezza di cui il sindaco Giovannelli ha segnalato la necessità alla Regione e al presidente del consiglio dei ministri? I freni della burocrazia si aggiungono al danno. Tutto questo doveva essere evitato dal 1979. Ma nulla è stato fatto». Giovanni Porcu presiede il coordinamento dei Comitati di quartiere: «C’è una proposta di legge per lo stanziamento di 90 milioni in favore degli alluvionati, ma prevedeva procedure penalizzanti con i prestiti, si è cercato di correggerla con gli emendamenti, è passata al Senato ma si è fermata alla Camera». Un altro aiuto mancato.

Ma al peggio non c’è fine, dimostra Franco Giua . Il fiume in piena ha distrutto venti metri del muro di recinzione sul lato opposto della sua casa. «Lo dovevo ricostruire con le mie energie, mi hanno bloccato. Devo presentare un progetto che costa 3500 euro e aspettare l’autorizzazione non so da quanti uffici.». È l’altra alluvione, quella della burocrazia. (gpm)

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