La Nuova Sardegna

L’album ritrovato dei dannati dell’Asinara

di Paolo Curreli
L’album ritrovato dei dannati dell’Asinara

A Sassari la mostra e il volume su uno straordinario documento, le foto dei prigionieri della Grande Guerra nell’isola - FOTO

17 ottobre 2014
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SASSARI. Quanto la Grande Guerra sia stata davvero la prima “Mondiale” lo si deduce da come abbia impregnato, stravolto e cambiato l'Europa con ripercussioni avvertite in ogni angolo della società umana.

FOTO L'album dei dannati all'Asinara

Perfino la piccola isola dell'Asinara nella lontana Sardegna divenne teatro dei drammi nati dal conflitto centroeuropeo. La riscoperta dell'album intitolato “I prigionieri di guerra austriaci all'Asinara. 18 dicembre 1915-24 luglio 1916”, conservato all'Archivio centrale dello Stato e pubblicato a cura di Assunta Trova e Giuseppe Zichi, con analisi delle immagini di Salvatore Ligios, ricostruisce attraverso un ricco materiale documentario in gran parte inedito il mondo di quelli che sono passati alla storia come i “dannati dell'Asinara”. Questo pomeriggio alle 17, nell’Aula Magna dell'università di Sassari, con gli autori, la presentazione dell’album ritrovato – pubblicato dalla Edes – e l’inaugurazione della mostra e della ricerca portata avanti da Trova e Zichi dal tema: “Asinara. Isola piccola Grande storia. Prigionieri e profughi della prima guerra mondiale”.

Interverranno: il rettore Mastino, Antonietta Mazzette ( dipartimento di Scienze Politiche), Gianfranco Ganau (presidente del Consiglio Regionale), Alessandra Giudici (presidente della Provincia di Sassari), Nicola Sanna (sindaco di Sassari), Antonio Diana (sindaco di Stintino), Gilda Usai Cermelli (consigliere del Comune di Porto Torres per l'isola dell'Asinara), Pasqualino Federici (presidente del Parco dell’Asinara) e Maria Antonietta Mongiu (presidente FAI Sardegna).

«È fin troppo nota – anche in seguito alla vicenda del “carcere speciale” – la storia che, nell’immaginario collettivo, fino ad anni recenti ha collegato l’Asinara a un luogo di espiazione e pena. Meno nota è la vicenda che vide la decisione di destinare a uso pubblico quegli spazi e soprattutto la questione legata alla stazione sanitaria durante la Grande Guerra». Così hanno scritto Assunta Trova e Giuseppe Zichi. Il rinvenimento della documentazione fotografica ha permesso di ripercorrere vicende di grande interesse non solo storico. La ricostruzione degli studiosi parte dal 1885,già d’allora l’isola venne considerata alla stregua di un luogo nel quale lo Stato poteva esercitare ogni sorta di diritto. Cacciata l’intera popolazione (qualche centinaio di individui), vi venne creata una stazione internazionale di quarantena marittima, destinata ad evitare la diffusione di malattie, e contemporaneamente una colonia penale. Molti dei problemi che accompagneranno la storia di quel territorio, ancor prima dello scoppio della Grande Guerra, saranno strettamente collegati, seppure indirettamente, a questa scelta. Con l’entrata in guerra dell’Italia a fianco dell’Intesa, anche per la stazione sanitaria dell’Asinara si sarebbe aperta una fase del tutto nuova. Nei progetti iniziali avrebbe dovuto essere l’approdo per brevi permanenze di gruppi ristretti, che si sarebbero dovuti alternare una volta superata la fase della quarantena. In verità, principalmente nei mesi successivi, diverse saranno le etnie presenti sull’isola, dove arrivarono anche molti militari italiani ammalati e feriti.In questo contesto una storia particolarmente interessante è quella che, accanto al trasferimento nell’isola dei prigionieri austro-ungarici, vide anche il salvataggio dei resti dell’esercito serbo.

51 fotografie, 11 fra piantine, mappe e cartine, grafici e disegni che, accanto alle ricostruzioni più tradizionali, rappresentano un ulteriore approccio alla conoscenza di quei luoghi in quei tempi così tragici, a partire proprio dalle cartine che indicano progressivamente l'evoluzione degli insediamenti dell'isola dal periodo che precede l'arrivo dei prigionieri. Un racconto tecnico che rappresenta l'evoluzione dagli accampamenti sanitari alle nuove costruzioni del campo di prigionia. Nelle fotografie documentarie dell'album la morte non è mai presente; il dato viene fornito solo alla fine da freddi istogrammi che chiudono le pagine con i dati dei decessi. Gli studiosi notano come: «Al fondo vi era quasi la volontà di non utilizzare la stessa modalità di comunicazione, per rappresentare la vita e la morte».

L'album è una miniera preziosa anche per la storia della fotografia, come fa notare il saggio di Salvatore Ligios che accompagna il volume. Un prodotto di documentazione, dove perfino la “leziosità” estetica della colorazione all'acquerello delle stampe in bianco e nero diviene uno strumento di documentazione per definire meglio e correggere le problematiche tecniche della messa a fuoco ancora primitiva. La stessa inquadratura rigida degli scatti fa trapelare la supervisione da parte delle gerarchie mediche e militari. E a questo proposito Salvatore Ligios, fotografo e studioso, si pone la domanda che bisognerebbe porsi di fronte a ogni azione di selezione, e quindi di censura, dove sono le foto scartate e quale era il motivo che non le aveva fatte ritenere idonee? Il cinema e la fotografia subiscono, come ogni altra tecnologia in quel periodo storico, un repentino progresso sotto l'incalzare della guerra, affermandosi come strumenti fondamentali per documentazione degli avvenimenti. Resta per Ligios, la curiosità di poter indagare anche gli originali, le carte, i colori e le tecniche per potersi avvicinare e forse scoprire l'identità dell'ignoto fotografo.

La mostra resterà aperta fino al 24 ottobre nell’aula magna e dal 27 ottobre presso i locali del dipartimento in viale Mancini a Sassari.

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