La Nuova Sardegna

L’economia? Te la spiegano i Beatles

L’economia? Te la spiegano i Beatles

Si intitola “All you need is love” l’ultimo libro dello scrittore-giornalista Federico Rampini

14 ottobre 2014
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Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo un brano tratto dall’ultimo libro di Federico Rampini, “Alla You need is love” in libreria da oggi.

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La canzone antitasse la compone George Harrison, è uno dei suoi primi successi. Siamo ancora lontani dalla sua fase mistica e indiana, o dai capolavori della sua maturità come Something. Entrato nella band come un ragazzino ancora alle prese con la pubertà, col denaro lui aveva avuto un rapporto tra l'ingenuo e il distaccato. La prima volta che il quartetto firmò un contratto con una casa discografica importante (Emi), e un giornalista chiese a George cos'avrebbe fatto di quei soldi, la risposta fu: "Comprerò un autobus a mio padre, lui fa l'autista dei mezzi pubblici".

Ma a metà degli anni Sessanta i guadagni cominciano a diventare davvero sostanziosi. E George si scopre un po' più attento alla contabilità. Taxman è l'unica canzone in cui i Beatles si occupano in modo esplicito di economia. I conti che fa Harrison sono precisi, per quanto riguarda la parte da leone che il fisco cattura per sé. Siamo nel maggio 1966 quando incide Taxman. A marzo è appena stato rieletto con una maggioranza travolgente Harold Wilson, premier laburista inglese. Da MargaretThatcher a David Cameron, noi ormai ci siamo abituati a considerare la Gran Bretagna come una roccaforte del neoliberismo. L'epopea della beatlemania, invece, coincide con una lunga stagione di "socialismo in salsa inglese".

Wilson vince quattro elezioni consecutive, governa dal 1964 al 1976 (con una sola interruzione). È un'epoca in cui larga parte dell'industria inglese è nazionalizzata, i sindacati sono fortissimi, il Labour vara inoltre le grandi riforme "valoriali": liberalizza divorzio, aborto, omosessualità; abolisce la pena di morte e la censura. Sono cambiamenti storici, anche se il Labour passa per essere una sinistra moderata rispetto ai partiti socialcomunisti del Continente.

Lo stesso Wilson ironizza sul fatto di essere spesso in minoranza tra i suoi ministri, ancora più moderati di lui: «Mi sento un bolscevico alla guida di un esecutivo zarista». Oggi, però, il suo fisco verrebbe considerato come un esproprio comunista. Per i ricchi, sullo scaglione di reddito più elevato l'aliquota dell'imposta (equivalente all'Irpef) arriva al 95 per cento, cioè esattamente quel rapporto di 19 a uno che George canta, furibondo, in Taxman.

Per una volta che si occupano di economia, i Beatles gettano la maschera? Sembrano addirittura i precursori e i profeti delle grandi rivolte fiscali che hanno segnato la storia del neocapitalismo: dalla Thatcher in Inghilterra (la Lady di Ferro conservatrice diventerà premier nel 1979) a Ronald Reagan negli Stati Uniti (1981), fino al Tea Party americano di oggi e ai diversi emuli nei populismi europei.

Qualcuno all'epoca di Taxman maliziosamente osserva che la stangata fiscale sulle royalty dei Beatles «è il conto che gli viene presentato per la loro onorificenza». La regina d'Inghilterra li ha fatti baronetti, proprio su proposta di Harold Wilson, come riconoscimento allo straordinario impulso che danno all'immagine del paese e al fascino del "made in England". I quattro ventenni si trovano in una posizione scomoda. Pagare tutte quelle tasse dà un gran fastidio, ovviamente. Ma non possono aspettarsi una solidarietà fiscale dai loro fan, che a larga maggioranza appartengono al ceto medio o alla classe operaia. Loro stessi, i Fab Four, vengono da una Liverpool povera e di sinistra. Si sono arricchiti a una velocità fulminea, hanno le Rolls-Royce, ma non di- menticano le proprie origini e conservano un senso d'ironia pungente verso il mondo dei ricchi.

È passata alla storia la deliziosa battuta di John Lennon in un concerto dal vivo al Prince of Wales Theater di Londra, a cui assistevano dal palco reale la regina madre e la principessa Margaret. Dopo una travolgente interpretazione di Twist and Shout, John si rivolge al pubblico in sala: «Per quest'ultimo brano vorrei chiedere il vostro aiuto. I poveri seduti nei posti più economici, per favore battete le mani. In quanto agli altri: basta che facciate tintinnare tutti i vostri gioielli…».

Così, anche nella canzone Taxman c'è un colpo al cerchio e uno alla botte, nelle parole c'è un attacco al laburista Wilson e poi uno al partito conservatore, allora guidato da Edward Heath. D'altronde va ricordato che l'aliquota marginale era stata a quei livelli (95 per cento sulla fascia dei redditi più elevati) anche nell'America di Dwight Eisenhower, presidente repubblicano, eppure l'alta tassazione coincise con anni di vigorosa crescita e pieno impiego. Il tono beffardo e irriverente della canzone ottiene un risultato importante: i Beatles riescono a dipingere la loro "protesta da ricchi" come un grido antiestablishment.

E qui davvero sono visionari: perché sarà proprio questa la chiave di successo di tanti movimenti antitasse, che in seguito vinceranno consensi riuscendo ad aizzare la rabbia popolare contro il ceto politico, per poi fare gli interessi prevalentemente dei ricchi e delle grandi imprese. Oggi in nessun paese al mondo - neppure in Svezia o nella Cina che si dice comunista - esistono delle aliquote al 95 per cento.

Reagan e la Thatcher non sono passati invano. Eppure la Grande Paura dei ricchi verso il fisco rapace è più viva che mai.

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