La Nuova Sardegna

L’Anci: «Più poteri e soldi ai Comuni»

di Alfredo Franchini
L’Anci: «Più poteri e soldi ai Comuni»

Il presidente Scano contro il centralismo della Regione: alt alle Province, spazio alle Unioni ma in una linea federalista

14 ottobre 2014
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CAGLIARI. Un federalismo in chiave regionale. È la proposta che il coordinamento degli Enti locali sardi ha elaborato per ridisegnare i Poteri dell’isola. Due i pilastri del nuovo assetto: da una parte la Regione, dall’altra i Comuni mentre tutto quello che si trova in mezzo, (Province, Consorzi di bonifica, Consorzi industriali), viene cancellato.

Aggregazioni. Anche i Comuni, però, non saranno gli stessi perché il primo gennaio scatterà il commissariamento delle amministrazioni sotto i cinquemila abitanti, cioè 314 Comuni su 377 che non avessero aderito alle Unioni. Per evitare il commissariamento ci sono due strade: costituire un’unica unione di comuni sulla base delle vecchie regioni storiche o istituire Unioni più piccole che diano vita a una sorta di confederazione.

Giunta. Il presidente dell’Anci, Piersandro Scano, manda due messaggi. Il primo è per la Regione: «La riforma degli enti locali si fa con gli enti locali. Se anche loro la pensano così siamo d’accordo, altrimenti...». Il secondo messaggio è per i Comuni stessi: «Dobbiamo necessariamente procedere alle Unioni dei Comuni, altrimenti la riforma calerà dall’alto».

Sistema. Il federalismo è rimasto mutilato in Italia con l’approvazione della metà dei decreti messi in campo. Ma nella storia politica e amministrativa è sempre accaduto che ogni mutamento del regime politico sia coinciso con una riforma dei poteri locali. Alla tendenza di un nuovo centralismo l’Anci risponde con una riforma federalista.

Il caso. C’è un precedente: nel 2002 un’altra regione speciale, il Friuli, ha predisposto una riforma simile che prevede - come chiede l’Anci sarda - che una quota fissa dei tributi sia trasferita direttamente ai Comuni.

Territori. Nello schema illustrato da Scano e dal direttore dell’Anci, Umberto Oppus, e condiviso da Rodolfo Cancedda (Asel), Tore Sanna (Ai cre) e Giuseppe Casti (Cal), la Regione è organo di governo ma non di gestione. La riorganizzazione - secondo il coordinamento degli enti locali - ha come punto di riferimento le regioni storiche della Sardegna, dalla Trexenta alla Barbagia alla Nurra. Sarà la conferenza dei sindaci a scegliere su base volontaria come associarsi.

Area vasta. «Una formula semplice, democratica efficiente», la definisce Scano. Per quanto riguarda le funzioni di area vasta, ciò che sostituirà le attuali Province ormai un fatto residuale, le Unione delle regioni storiche dovranno accorparsi tra di loro.

Incontri. Non ci sono stati ancora incontri formali ma nei prossimi giorni partirà il confronto con la giunta, coi capigruppo del Consiglio e con la Commissione Autonomia. «La nostra proposta», dice Piersandro Scano, «è un punto di riferimento importante per il governo regionale e per il Consiglio che deve varare la legge».

Distretti. Fatto sta che la proposta che viene dal coordinamento è diversa da quella della giunta che punta su cinque distretti amministrativi in capo alla Regione. Scano stempera le polemiche: «Il nome non ha importanza, può essere distretto o un altro. Ci confronteremo ma c’è un punto fermo: non far calare dall’alto le scelte ma decidere coi territori».

Finanza. Gli Enti locali sono stanchi di subire tagli ai trasferimenti: «Renzi vada a Bruxelles a rovesciare il tavolo», dice Scano. Basti pensare che nelle banche sarde ci sono 700 milioni di euro che i Comuni non possono spendere per via del Patto di stabilità: «Non c’è autonomia senza autonomia finanziaria».

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