La Nuova Sardegna

L’isola antica chiusa nei suoi misteri

L’isola antica chiusa nei suoi misteri

La Sardegna che entra nella modernità: “Solo il mio silenzio”, l’esordio nella narrativa di Pina Ligas

13 ottobre 2014
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Pubblichiamo un brano dal romanzo di Pina Ligas “Solo il mio silenzio” (Pietro Pintore Editore, info@pintore.com).

* * *

16 aprile 1893. La primavera rendeva i ragazzi piú giocherelloni del solito e quel giorno in particolare partirono al mattino presto e salirono lungo il costone del monte fino alla strada ferrata. Aspettarono che quel marchingegno strisciante sbucasse dalla curva sbuffando e fischiando forte. Una conquista epocale che ancora una volta li affascinò e sbalordí. Tornato il silenzio, lasciarono le capre libere di inerpicarsi in modo sciagurato su pendii e conchiles . Loro presero a giocare a nascondino, a rincorrersi ululando come tanti indiani. Attraversavano il sottobosco cresciuto senz'ordine secondo il capriccio della natura, per tuffarsi nei campi di fave, piselli, orzo, facendo capriole e avvoltolandosi nell'erba al pari delle bestie.

«Oh ragazzi!» gridò Vincenzo ridendo tra una capriola e l'altra. «Ieri avete visto quella scema? Si è messa un reggipetto in testa».

«Ma chi?» risposero in coro gli amici.

«E già, voi non sapete nulla perché ieri eravate qua sopra».

«Dai, dai Visse' racconta un po' di questo reggipetto».

«Vi racconto di quella stupida. Una figura che non vi dico!».

In paese il giorno precedente era arrivato un venditore continentale che strillava come un matto agitando un indumento che non tutte conoscevano ancora, ma che sapeva tanto di modernità.

«Signore, signorine, avanti, venite a provare il reggipetto!».

Le giovani fecero capolino da porte e finestre, ma rosse in viso chiusero subito. Le donne anziane piú curiose si fecero avanti, una di loro aveva iniziato una serie di ipotesi su cosa potesse essere.

«Be' la forma è quella di una cuffia, e sulla testa di un bambino un po' piú grande o piú piccolo può stare bene. Ma se sono due cuffie? Uhm, allora piú che per due gemelli non può essere… solo che sono legate… be'… forse sono per dei gemelli che hanno qualche problema?».

«Avete ragione signora cara, piú che di gemelli si tratta di gemelle o di teste, seppur di diversa natura… Vero che è cosí?».

I maschi risero come matti, mentre le signore con il viso in fiamme si erano allontanate morte dalla vergogna.

Vittoria insisteva con il suo segreto, mentre Vincenzo con il rifiuto del suo patrigno, e attraverso le balentias da ragazzo reclamava un nome che potesse indicargli identità e appartenenza.

Alla sera Pepe Dore e Francesca fecero visita a Vittoria. Senza tanti giri di parole l'uomo chiese subito del ragazzo.

«Ma dove vuoi che sia! È in castigo al buio e per due giorni avrà solo acqua, questo in conto delle uova che ha dato per i sigari».

«Posso parlarci un attimo?».

«Vai pure di sopra. A seconda di come ti risponde sei autorizzato a prenderlo a schiaffi, che solo quello si merita per adesso».

L'uomo prese la stearica che stava sul camino, l'accese e salí le scale strette e ripide. Il ragazzo era seduto in terra sotto la finestra, al buio. Pepe si inginocchiò, gli scarruffò i capelli e gli parlò a voce molto bassa: «Oh perché fai delle stupidaggini di questo genere? Guardati, sei tutto un livido e piangi pure, e io che ti consideravo già un uomo… Accidenti Vince' ma possibile che ne debba combinare sempre una? Senti qua, vuoi venire con me a Cagliari? Però devi prendere anche tu un cavallo, cosí riempiamo le bisacce di tutti e due di formaggio, che lo vendiamo, e poi perché al rientro con me ci sarà Angelina. Dimmi se ce la fai a stare in piedi, che sa tzironia mi sembra che ti abbia fatto a fette questa volta…». Il ragazzo aveva guardato Pepe come un lume che magicamente gli aveva riacceso la speranza. «Allora, cosa mi dici?».

«Che se mi portate a Cagliari con voi non ho piú bisogno di fuggire questa notte…».

«Avevi già in mente un'altra stupidaggine… dove avevi intenzione di andare?».

«Non lo so… nascondermi nel treno per allontanarmi da qui».

«Nasconderti nel treno? Ma neppure un topo si può nascondere nel treno! Non hai notato che è sempre vuoto? Ma robe da matti… Vince' non devi allontanarti troppo dal paese, sai quanti banditi ci sono in zona in questo periodo? Ne viene fuori un casino se ti vedono che per puro caso rivolgi la parola a uno di loro».

Il ragazzo tremò di terrore. «Ne ho visto uno e mi ha chiesto chi ero».

«Pure… Allora, domani mattina possiamo partire? Te la senti? Guarda che si tratta di stare in città una settimana. Se vieni, ti porto a vedere tante cose, anche le saline, e al rientro, sempre se vuoi, vieni ad aiutarmi al monte, tanto vedo che con Francesco non leghi proprio».

«Quello non è mio padre!».

«È padre chi ti tratta come un figlio, non è padre chi si abbassa i pantaloni, sputa a destra e a manca e se li ritira su. Comunque, sono sicuro che sei in grado di badare a un gregge intero. Io alla tua età avevo duecento capre e anche un servo. Sí, avevo solo quindici anni. Dai, che poi una volta al mese andiamo a vendere il nostro formaggio nei paesi dove non allevano bestiame e magari anche in continente. Diventerai un vero uomo, ne sono convinto. Sappi che per non fare cretinate bisogna tenere la testa impegnata in cose serie, capito?». Il ragazzo non fiatò. Pepe se lo ritrovò piangente tra le braccia.

©PIETRO PINTORE EDITORE, TORINO, 2014

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