La Nuova Sardegna

Tragico assalto alla banca ergastolo per Arzu e Pala

di Antioco Fois

Confermate le condanne dell’ex latitante di Talana e dell’allevatore di Orune Durante una rapina a Umbertide nel 2006 avevano sparato contro i militari

05 ottobre 2014
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PERUGIA. Ancora carcere a vita per Raffaele Arzu e Pietro Pala. Le nuove carte giocate dalle difese dei due imputati sardi non hanno deviato il corso della vicenda processuale e ieri la Corte d'assise d'appello di Perugia ha confermato le condanne all'ergastolo per l'omicidio del carabiniere trentenne Donato Fezzuoglio, ucciso a colpi di kalashnikov nel gennaio del 2006 nel corso di una rapina al Monte dei Paschi di Siena a Umbertide (Perugia).

Dopo sei ore di camera di consiglio i giudici di Perugia hanno emesso nuovamente la sentenza più dura nei confronti dell'ex latitante di Talana e dell’allevatore originario di Orune, considerati ancora una volta due dei sei membri del commando che assaltò la filiale dell’istituto di credito. Un verdetto ascoltato senza commenti dagli imputati, presenti in aula ed entrambi già detenuti, che in mattinata avevano preso la parola per sostenere la loro innocenza. Arzu, l'ex primula rossa ogliastrina, si è alzato in piedi per dire ancora una volta che in quei giorni, periodo della sua latitanza, era in Sardegna e non in Umbria. Pietro Pala, invece, residente a Marsciano nel Perugino, di famiglia orunese, ha anche depositato un memoriale nel quale ripercorre quei giorni, dice, lontani da armi e fatti di sangue. «Ho sempre lavorato - scrive ai giudici - non c'entro niente con le rapine». Parole che non hanno smosso il convincimento delle toghe perugine dal giudizio di colpevolezza emesso in primo grado. La precedente sentenza, infatti, decreta che a imbracciare il kalashnikov che sparò a Fezzuoglio fu proprio Pietro Pala, che tentava di coprire la fuga dei banditi dalla banca, tra i quali l'accusa indica Arzu. I rapinatori avevano sfondato la vetrina della banca con un pick up, erano entrati armi in pugno e usciti con un bottino di oltre 80mila euro. Sul posto arriva un'auto dei carabinieri. Qualche attimo e si scatena l'inferno. Sparano tutti. La Beretta di Fezzuoglio, la mitragliatrice dell'appuntato Enrico Monti, il kalashnikov dal sedile posteriore della Lancia Thema utilizzata dai rapinatori come auto di copertura. Fezzuoglio rimane a terra esanime, colpito alla schiena. A Monti va meglio, ferito ma salvo per miracolo. Alla guida di quella Thema ci sarebbe stato Ivo Carta, orunese poi ucciso a fucilate qualche mese dopo quella rapina. Sulla sua figura faceva leva parte della strategia difensiva del processo d'appello. La sorella dell'uomo, Sonia Carta, ha infatti testimoniato che a gennaio 2006 l'uomo si trovasse ad Aprilia e non a Umbertide. Altro elemento che aveva determinato la riapertura del dibattimento era stata la disposizione di una perizia sul Dna di Pala, per confrontarlo con la traccia biologica trovata su un mozzicone di sigaretta rinvenuto dal Ris nei pressi delle auto utilizzate dai banditi per la fuga. Ma la testimonianza non è riuscita a cambiare la ricostruzione della vicenda fatta dall'accusa e il nuovo test scientifico non ha dato gli esiti sperati dalle difese, che ora già valutano il ricorso in Cassazione.

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