La Nuova Sardegna

Beppe Pisanu chiamato come testimone

Beppe Pisanu chiamato come testimone

Richiesta della difesa dopo le parole del padre di Rocca: «Intervieni per non far chiudere l’indagine»

03 ottobre 2014
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NUORO. Nel maggio del 2010, dopo aver scoperto che gli inquirenti volevano archiviare l'inchiesta sulla morte di sua nuora Dina Dore, insieme al figlio Francesco Rocca era andato dall'amico Beppe Pisanu e gli aveva detto: "Beppe, questa cosa va fermata. È una vergogna che vogliano chiudere l'indagine senza aver trovato il colpevole". E due anni prima, nei giorni tremendi e concitati dopo la scoperta del cadavere nel garage di via Sant'Antioco, sempre all'amico carissimo Pisanu, Tonino Rocca lo aveva raccontato, con grande sconforto, che "i vicini non stanno parlando". E Pisanu, con molta semplicità, gli aveva risposto: "Ma perché non andate voi a chiederglielo in modo discreto?".

Per il momento è solo una richiesta "ex articolo 507", la richiesta di ammissione di nuove prove, avanzata dai difensori di Francesco Rocca, Mario Lai e Angelo Manconi, ma se la corte d'assise dovesse accoglierla - deciderà il 16 ottobre - alla prossima udienza, il 23 ottobre, nella postazione riservata ai testimoni potrebbe sedersi anche l'ex ministro dell'Interno, Beppe Pisanu.

L'importanza dell'eventuale testimonianza dell'ex ministro per la difesa sta tutta in un paio di circostanze, ma attraverso questa deposizione i due legali di Rocca vogliono smentire quanto finora ha sostenuto l'accusa. Secondo l'accusa, infatti, la famiglia Rocca, anziché aiutare le indagini, le avrebbe depistate, inquinando in parte persino le deposizioni dei vicini di casa di via Sant'Antioco. La testimonianza di Pisanu, invece, dimostrerebbe che sarebbe stato lo stesso ex ministro dell'Interno a suggerire ai Rocca di convincere i vicini di casa a parlare.

"Lai veniva a caccia con noi". Racconta tutto, ieri mattina, davanti alla corte d'assise di Nuoro, Tonino Rocca. Chiamato a deporre come ultimo teste della difesa, è un fiume in piena. Risponde alle domande dei difensori, Mario Lai e Angelo Manconi, ricorda il grande affetto provato da suo figlio per Dina, i tempi nei quali "Dina e Francesco filavano, come si dice adesso, e si volevano bene", i tanti anni nei quali con "i Dore eravamo un'unica famiglia, poi, dopo la morte del padre di Dina, Paolo Dore, è tutto cambiato". Ricorda che l'attuale superteste, Stefano Lai, "per tanti anni dopo l'omicidio continuava a venire a caccia con me e Francesco. E non ha mai manifestato segni di cambiamento nei nostri confronti".

Le bacchettate al figlio. Sul finale della sua deposizione, da buon padre di famiglia, non lesina neppure una sonora bacchettata al figlio Francesco. Perché, dice, "non gli ho mai perdonato di aver parlato male della moglie, solo per portare a letto una donna. Io, tra l'altro, così come i miei familiari, siamo stati gli ultimi a scoprire che aveva un'altra relazione. Nessuno ce lo aveva detto". E tra un ricordo e l'altro, sollecitato dagli avvocati Lai e Manconi, spiega anche che a suo parere, il 26 marzo del 2008, era andato in scena "un tentativo di sequestro finito male, perché era gente inesperta e incapace".

Ma una parte robusta del suo racconto di ieri, Tonino Rocca, lo dedica a difendere con decisione se stesso e la sua famiglia dall'accusa di aver depistato o inquinato le indagini e i testimoni.

"Volevano i nomi". "Prima il mio fiduciario era l'ispettore Serra - precisa - mi diceva di riferire agli inquirenti ciò che sapevo. Poi ho parlato tanto anche con Mustaro e Mulargia. Loro mi dicevano di fare dei nomi, ma io spiegavo loro che non potevo fare i nomi se non li avevo, perché in Barbagia quando si commettono errori del genere, si mettono nei guai intere famiglie incolpevoli. Io dicevo che le indagini le dovevano fare loro, anche se avrei riferito tutto quello che sapevo. Ma ho anche detto che era una vergogna che avessero fatto così pochi Dna. Mia moglie lo aveva detto a un magistrato e questo gli aveva risposto "Ma si rende conto della spesa?". Noi da subito ci siamo mossi per cercare la verità, sia io sia mia moglie, dopo 40 anni di servizio come medici in tanti paesi, abbiamo sfruttato tutte le nostre conoscenze, ma mai abbiamo voluto depistare le indagini". (v.g.)

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