La Nuova Sardegna

Finì l’amante a bastonate dopo una lite

Finì l’amante a bastonate dopo una lite

I carabinieri risolsero il caso in meno di 48 ore, lui aveva tentato di simulare una rapina

22 settembre 2014
3 MINUTI DI LETTURA





VALLEDORIA. «Insisteva perchè la sposassi, l'ho uccisa»: alla fine, Luciano Pinna era crollato e aveva confessato il suo femminicidio ai carabinieri che lo interrogavano. L’assassinio era accaduto il primo marzo del 2001 e il caso era stato risolto a tempo di record. Soltanto per 48 ore quella relazione tra vedovi era rimasta un segreto per tutti. Poi una vicina di casa di Rosa Asole, a Santa Maria Coghinas, raccontò sottovoce la sua testimonianza ai carabinieri, facendo scoprire quell’uomo che l'andava a trovare, due volte la settimana.

I carabinieri di Valledoria avevano chiamato in caserma Luciano Pinna, all’epoca 74enne, per avere, dopo tre ore di interrogatorio, una piena confessione.

«L'ho uccisa perché aveva l'idea fissa del matrimonio». E fece una minuziosa ricostruzione del giorno dell’omicidio. «L'ho colpita con un tronco di leccio raccolto in cucina, dalla legna da ardere. Mi aveva fatto andare in bestia con le sue insistenti richieste di regolarizzare la nostra posizione di amanti. Insisteva nel voler rendere pubblica, col matrimonio, la relazione che era iniziata poco meno di tre mesi fa. Rosa l'avevo conosciuta oltre trent'anni fa, e siamo sempre stati amici». Dagli incontri sporadici nell'ufficio postale, per ritirare insieme la pensione, alle riservate visite bisettimanali a casa della donna, vedova per due volte ma decisa a regolarizzare la nuova relazione sentimentale. «Sono arrivato a casa di Rosa alle tre del pomeriggio - disse l'uomo ai carabinieri - e tra due chiacchiere e un caffè si è fatto buio. Fuori pioveva a dirotto, c'era vento, e quando stavo per andare via lei mi ha chiesto, ancora una volta, di decidermi. Voleva sposarsi, al più presto. Al mio ennesimo rifiuto è andata in escandescenze, mi ha insultato pesantemente, ha scatenato la mia rabbia. Ho preso il bastone e l'ho colpita alla tempia. Lei si è accasciata a terra, davanti al caminetto, senza un lamento, L'ho colpita ancora, e credevo d'averla uccisa. L'ho quindi trascinata sul letto, l'ho coperta e stavo andando via quando ho sentito un gemito. Era ancora viva, e a questo punto l'ho colpita ancora, non so quante volte».

Il raptus omicida aveva poi lasciato il posto al freddo ragionamento: simulare un furto, fare in modo che tutti pensassero a un balordo pieno di droga che si era introdotto in casa per depredare la povera vittima dei pochi averi - 350mila lire, una pensioncina ritirata dalla donna alle poste - e allontanare da sè ogni ombra di sospetto.

Prese i soldi dal borsellino, mise in disordine la casa, poi la fuga dalla finestra della cucina, portando via il legno-arma del delitto e abbandonandolo sulla strada: a ripulirlo dal sangue ci avrebbe pensato la pioggia che cadeva abbondante.

Luciano Pinna pensava di aver commesso il delitto perfetto. Ma dopo 48 ore varcò il portone del carcere di San Sebastiano sotto il peso delle accuse di omicidio volontario e simulazione di reato. (v.m.)

Incarichi vacanti

Sanità nel baratro: nell’isola mancano 544 medici di famiglia

di Claudio Zoccheddu
Le nostre iniziative