La Nuova Sardegna

Maria Giacobbe, il tempo della memoria

di Luciano Piras
Maria Giacobbe, il tempo della memoria

A Nuoro incontro con l’autrice di “Diario di una maestrina”

20 settembre 2014
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NUORO. E sì che ha ragione papa Francesco, «lui l’ha detto, molto saggiamente: siamo nella Terza guerra mondiale». Un conflitto combattuto «a pezzi», a macchia di leopardo, ma sempre di Terza guerra mondiale si tratta. «Il mondo è sempre segnato dalla guerra, ci sono guerre dappertutto». Maria Giacobbe ne ha viste e subite parecchie. Classe 1928, una natura curiosa che l’ha portata in giro per il pianeta. «Sono nata che c’era la guerra, e ho vissuto che c’era la guerra, e vivo che c’è ancora la guerra, quasi dappertutto» ribadisce. Era poco più che una bambina, nuorese di nascita e di sangue, quando pagò caro il prezzo della follia fascista. Il padre Dino era partito per la guerra civile spagnola, poi aveva cercato rifugio negli Stati Uniti d’America, mentre in Europa dilagava il mostro nazista. A Nuoro, intanto, la famiglia Giacobbe aspettava sue notizie via lettera.

Strani giri. Lettere che facevano strani giri, che passavano per l’Argentina e per la Svizzera, cambiando buste e francobolli così da sviare lo spionaggio italo-tedesco. Una storia raccontata nel libro “Le radici”, uscito per la prima volta nel 1977, Edizioni della Torre, Cagliari, riproposto nel 2005 da Il Maestrale, la stessa che ora manda in libreria “Memorie della farfalla”, «un libro che parla del mondo», sottolinea l’autrice, a Nuoro nei giorni scorsi per la presentazione del volume nella biblioteca Satta, nella sua città, «una città completamente diversa da quella di allora... oggi è come trovare degli avanzi archeologici», commenta.

Tutto è cambiato, insomma, da quando è finito il ventennio fascista, da quando ha lasciato la provincia barbaricina per trasferirsi a Copenaghen, in Danimarca, nel 1957. L’anno del suo esordio letterario con il coraggioso “Diario di una maestrina”. Restano, tuttavia, e non sono mai cambiate, le miserie della guerra. Oggi come ieri, la storia si ripete anche se insegna. Era nella Corea del Nord, anno 1986, per esempio, quando Maria Giacobbe vide con i propri occhi gli operai lavorare come formiche alla “Diga del mare dell’ovest”, «che Kim Il-Sung, Grande Leader aveva voluto e disegnato di persona».

Corea 1986. «Mi parve sorprendente la scarsità di escavatrici, di gru e di altri mezzi meccanici che avrebbero potuto alleggerire il lavoro degli operai – annota la scrittrice –. Non molte ma in maggior numero che lì in Corea nel 1986, di quelle macchine ne avevo visto in funzione già quarant’anni prima nella poverissima Sardegna del dopoguerra quando, insieme ad altri ragazzi come me studenti di ginnasio, avevo avuto la possibilità di visitare i cantieri della diga sul Flumendosa la cui costruzione era allora appena iniziata». La futura maestrina aveva appena 17 anni. «Inaccettabile. Ero tornata a casa, a Nuoro, molto scossa» racconta oggi. Tanto scossa che il trattamento disumano riservato agli operai sardi fu il tema del «mio primo articolo». Uscito su Aristocrazia, rivista fondata e diretta da Raffaele Marchi. «Spesso le cose che vedevo altrove, mi riportavano alla mia Sardegna», riprende fiato Giacobbe. Come questa triste storia degli schiavi coreani e degli schiavi sardi. Una delle tante storie che emergono dalle “Memorie della farfalla”, sottotitolo “Un prologo, quattro viaggi, un epilogo”.

Impegno civile. Non a caso, visto che di racconti di viaggio si tratta. Reportage di un inviata molto speciale, nata e cresciuta all’insegna dell’impegno civile, della libertà e della giustizia, del desiderio di conoscenza. «Questi sono i valori a cui ci hanno educato mio padre e mia madre, valori universali», sottolinea. Determinata, diretta, ma anche brillante e ironica. Come quando torna in Corea e ricorda di come la scambiarono per una Nobel writer: «L’entusiasmo era grande. Mi buttai a capofitto per frenarlo: no, no... not a Nobel... a novelwriter!». Novel writer», ride. Per poi tornare austera quando dice che da quel suo primo viaggio in Oriente è passato un quarto di secolo «e una lunga vita è trascorsa da quel mio primo incontro con la realtà della guerra nelle macerie di Cagliari». Era l’anno 1944: Maria, allora figlia-crisalide, aveva seguito la mamma Graziella Sechi nell’avventuroso viaggio da Nuoro al capoluogo sardo nella speranza di trovare un militare americano che la aiutasse a ristabilire i rapporti epistolari con il marito Dino Giacobbe., «Di militari armati ne avevamo visti molti», racconta la scrittrice. Nel 1944 a Cagliari come pure trentacinque anni dopo, 1979, in Israele e Palestina. Militari ovunque: «Per le strade e annidati sui tetti». Lì a Gerusalemme, Gerico, Hebron e dintorni, «per la prima volta – svela Maria Giacobbe – durante quel viaggio incontrai quello che Jorge Luis Borges chiama “lo sconfinato tempo musulmano che generò le Mille e una Notte”, e che per me è anche il tempo della Sardegna tradizionale prima che l’artificiale ciclone petrolchimico non la strappasse alle sue radici». E a proposito di petrolchimico: singolare il reportage che la scrittrice nuorese firma nel suo Paese adottivo, la democratica Danimarca.

Il dio petrolio. È l’inverno 1979: diversi scienziati sono tra i più accesi fautori dell’introduzione nel piccolo Stato scandinavo delle centrali atomiche. Gli scrittori, Maria Giacobbe in prima fila, contrapponevano fonti energetiche alternative. «Fu una battaglia vinta»: nel 1985 il Parlamento e il governo danesi misero definitivamente nel cassetto i progetti di centrali nucleari e puntarono sugli impianti eolici. Del 1984, invece, è il viaggio in Nicaragua, “Dopo il terremoto e altri disastri”, nell’ingannevole pace del Pacifico, un viaggio scaturito in occasione della conclusione del Convegno internazionale dei sindacalisti per la pace.

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