La Nuova Sardegna

“Il Capitale nel XXI secolo” Con il trionfo della rendita il passato divorerà il futuro

di ALESSANDRO ARESU
“Il Capitale nel XXI secolo” Con il trionfo della rendita il passato divorerà il futuro

Arriva anche in Italia il best seller dell’economista francese Thomas Piketty Il capitalismo non cambia, concentra la ricchezza in pochissime mani

20 settembre 2014
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di ALESSANDRO ARESU

Nella nostra quotidianità, assediata da grafici e statistiche, le idee hanno ancora un peso? John Maynard Keynes era molto chiaro su questo punto, e scrisse infatti: «Le idee degli economisti e dei filosofi della politica, sia giuste che sbagliate, sono più potenti di quanto si creda. In verità, sono loro che governano il mondo. Gli uomini d'azione, che si credono esenti da ogni influenza intellettuale, sono di solito schiavi di qualche economista defunto».

Il segno di un’epoca. Che cosa cambia, se consideriamo gli economisti vivi? In che misura, al di là del loro ruolo preponderante nei dibattiti televisivi e nelle politiche pubbliche, essi sono in grado di esprimere un'idea avvolgente, in un libro che finisce per caratterizzare un'epoca? Questo accade raramente, ma è il caso de "Il Capitale nel XXI secolo" di Thomas Piketty, appena tradotto per Bompiani. Il libro del professore della Paris School of Economics è uscito in francese nel 2013, ma nella primavera 2014, dopo la pubblicazione dell'edizione inglese per Harvard University Press, curata da uno straordinario traduttore, Arthur Goldhammer, è successo qualcosa. Piketty, già noto ai suoi colleghi per gli studi sulla disuguaglianza pubblicati nello scorso decennio con Emmanuel Saez, ha venduto centinaia di migliaia di copie, è stato chiamato "economista rock star" negli Stati Uniti, il suo lavoro è stato sviscerato e celebrato da commentatori come Krugman, Stiglitz e Summers.

L’ombra di Marx. C'è una parte del libro di Piketty che si presta certamente a questa celebrazione, al gusto del best-seller, a partire dal titolo, che riprende "Il Capitale" di Marx. Ma il contenuto voluminoso e le 950 pagine rappresentano per il lettore una sfida. Questa sfida ha un messaggio molto preciso: il capitalismo genera disuguaglianza. Il contenuto del messaggio sono i dati, ovvero le serie storiche del reddito e del patrimonio di numerosi Stati, che l'economista francese utilizza per dimostrare quella che definisce la “disuguaglianza fondamentale" e, nella conclusione, la "contraddizione fondamentale del capitalismo", formalizzata come “r maggiore di g”. Il tasso lordo del rendimento del capitale (r) generalmente supera la crescita (g). Questa, a detta di Piketty, è una costante del capitalismo: in altre parole, ciò di cui Keynes predicava l'eutanasia (la rendita) è la parte trionfante del sistema capitalistico. Pertanto, «l'imprenditore inevitabilmente tende a diventare un rentier, sempre più dominante rispetto a coloro che non possiedono altro che il loro lavoro. Il passato divora il futuro». Piketty propone di affrontare la situazione con una pesante tassa globale ( applicata contemporaneamente in tutto il mondo)sul capitale.

Dati eloquenti. L'attenzione per le statistiche e la chiarezza del messaggio sono due caratteristiche fondamentali del libro di Piketty. Un altro aspetto di grande rilievo, e non in contraddizione con l'accumulazione dei dati, è la sua attenzione per un'economia slegata dalla pretesa di essere una scienza che, grazie alla formalizzazione, ottiene uno status superiore alle altre scienze sociali. Quella cui Piketty rivolge attenzione è invece un’economia fedele all'origine della disciplina come branca della filosofia morale, in grado di abbeverarsi alla letteratura e alla storia per cogliere tutte le sfumature sociali delle epoche che analizza. Nel delineare quest'idea, Piketty sottolinea il ruolo dell'intellettuale, che non vive nel regno dei mezzi, separato dal regno dei fini in cui abitano i cittadini.

Il ritardo cinese. Nel libro ci sono anche interessanti osservazioni sulla distribuzione internazionale dei capitali. Piketty pensa che il problema fondamentale sia il consolidamento dell'oligarchia dei capitali in generale, e punta la sua attenzione sui Paesi sviluppati rispetto agli emergenti. Per esempio, secondo Piketty, la Cina non governerà il mondo del capitale, dato che gli asset dei fondi sovrani cinesi e delle riserve della Banca Popolare Cinese ammontano a circa 3000 miliardi, contro i 70.000 miliardi degli asset immobiliari e finanziari delle famiglie europee. L'Europa e gli Stati Uniti rimangono quindi al centro, per questa parte del mondo si pone "il" problema, un problema non solo economico, ma storico, politico e sociale.

Un’onda che cala. Il vero confronto del libro, è con Simon Kutznets, l’economista che nelle sue “curve a U rovesciata” evidenziava la tendenza del capitalismo a far aumentare all'inizio una disuguaglianza che poi, però, sarebbe geadualmente diminuita. È grazie al rapporto tra crescita e disuguaglianza di Kutznets che John Kennedy poteva rappresentare la crescita come l'onda che solleva tutte le barche. Per "Il Capitale nel XXI secolo", questa non è la storia del capitalismo, è soltanto la storia di una parentesi, la cosiddetta "età dell’oro" seguita alla seconda guerra mondiale, i trent'anni (che i connazionali di Piketty chiamano "gloriosi") in cui la contraddizione fondamentale del capitalismo pareva se non proprio superata almeno sfumata. Il dopoguerra è stato un’eccezione, un'anomalia che non tornerà. La marcia della rendita tende a divorare le conquiste sociali di quei decenni e ad accentuare le disuglianze.

Una trappola tremenda. In una recente analisi del think tank Bruegel sull'economia italiana ("Perché l'Italia non cresce?"), Ashoka Mody ed Emily Riley ricordano l'importante processo di crescita e ricostruzione che chiamiamo "miracolo italiano" e l'altrettanto impressionante "contro-miracolo" in corso dalla fine degli anni Settanta, con il calo della produttività e il divario crescente nell'educazione e nell'innovazione, che assieme alla demografia hanno creato una trappola tremenda. I lettori italiani di Piketty si divideranno sul ruolo delle tasse, sulla sua idea di Europa e del debito pubblico. Tutti ammetteranno che il loro futuro è stato in gran parte divorato dal passato.

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