La Nuova Sardegna

l’intervista

Malagò, il re del Coni con un debole per l’isola

Malagò, il re del Coni con un debole per l’isola

OLBIA. Fisico perfetto da ex atleta che sa come ci si tiene in forma, capello lungo e un sorriso per tutti, Giovanni Malagò, presidente del Coni, mostra quali sono le sue armi per vincere la guerra...

07 settembre 2014
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OLBIA. Fisico perfetto da ex atleta che sa come ci si tiene in forma, capello lungo e un sorriso per tutti, Giovanni Malagò, presidente del Coni, mostra quali sono le sue armi per vincere la guerra dello sport: simpatia e pragmatismo. E appare figura ben diversa da quella grigia e distaccata di tanti altri personaggi della politica, sportiva e non. Ieri era a Olbia per i premi Ussi e per vedere le strutture del Tc Terranova restaurate grazie anche a una sua donazione.

Presidente Malagò, nell’isola si sente in casa?

«Dalla mia infanzia frequento la Sardegna specie la Costa Smeralda, ho una casa a Porto Rotondo dove la famiglia è sempre venuta. Le mie vacanze le ho trascorse prevalentemente in Sardegna anche e sono stato poco nella costa orientale e soprattutto a sud e ovest con la barca, sono appassionato di vela. La conosco molto bene, quando posso ci torno, nonostante abbiamo una vita abbastanza carica di impegni, perché qui mi sento davvero a casa. Da queste parti da tennista ho fatto anche diversi tornei di doppio, mi sono divertito parecchio a Porto Cervo, Olbia, Santa Teresa. Un'epoca in cui specie la Costa Smeralda era molto di moda per i tennisti, quando avevi un buco durante l'estate.

Oggi è impensabile anche un solo giorno di vacanza e questo fa riflettere».

Lo sport sardo: in barba alla crisi ci sono eccellenze come Cagliari, Dinamo, il rally.

«Comunque si cerca di reggere, ci sono parecchi problemi, criticità in molti sport, problemi soprattutto infrastrutturali, ma ci sono eccellenze: che è poi la stessa situazione dello sport nazionale, ci sono situazioni che ti disorientano per quanto sono arretrate, e poi realtà straordinarie come quelle citate e anche qualche altra. Spesso sono legate alle iniziative e alla passione dei singoli, ai talenti che nascono sul territorio. Conosco molto bene la realtà sarda, occorrerebbe un’azione meno estemporanea, ma mi rendo conto che non è facile. Sono in continuo contatto col presidente Fara, sono convinto che il lavoro sulla scuola possa dare un contributo».

Scuola e sport: lei spinge sempre su questo tema.

«L'ho messo nel mio programma, io la definisco "la madre di tutte le battaglie", se questo ragionamento viene sdoganato non si potranno non avere grossi riscontri».

Conosce Giulini, il nuovo presidente del Cagliari, e ritiene possa fare bene?

«Non lo conosco personalmente, ma mi sembra che sia partito con entusiasmo, passione, idee e progetti. Sono molto contento della riapertura del Sant'Elia, al termine di una vicenda kafkiana, è importante ripartire dallo stadio che deve essere sempre più alle dipendenze del club e al servizio delle esigenze di tutta l'isola. Gli faccio un in bocca al lupo, ovviamente».

Ci sono presidenti di federazione in sella da decenni, quasi dei monarchi. Perché non porre limiti di mandato?

«Guardi, questo è un tema molto importante. In assoluto non è che una persona che sta da molti anni in sella sia meno capace di altre. Io non sono prevenuto verso nessuno, certo dopo un po' di tempo è logico che entusiasmo, energie, passione e idee possano anche venire meno.

Ciò che conta è che tutto si svolga nel rispetto delle dinamiche elettorali, chiaro che non accetto che si vada oltre il ruolo, trasformandolo in una sorta di diritto acquisito, sfruttando la conoscenza della macchina elettorale per assicurarsi qualche vantaggio: è un qualcosa che francamente trovo poco… sportivo. Dei limiti di mandato se ne parla anche con proposte di legge».

La questione Tavecchio: lei è stato piuttosto netto, ipotizzando anche un passo indietro del neo presidente Fgci. Tutto finito?

«Non posso non tenere conto delle democratiche regole del gioco. Detto questo, sono anche un signore che ha le sue idee, e buon senso vorrebbe che ci si muovesse sempre per il bene comune. E in determinate situazioni, ma vale sempre quando si ricopre un ruolo istituzionale, sarebbe opportuno fare un passo indietro, se necessario.

Ma una volta fatta l'elezione, la partita è chiusa e si faccia quello che interessa a tutti e non a pochi».

La vittoria dell'Italia di Conte sembra dare una mano a Tavecchio: la sua prima scelta l’ha azzeccata.

«Quando venne a parlarmene, quella dell'ex tecnico della Juventus mi parve un'ottima idea. Mi sembra la persona più adatta a ridare entusiasmo e nuove idee alla Nazionale e direi che l'inizio è molto buono. Ma stiamo coi piedi per terra, quella con l’Olanda era un’amichevole, ora pensiamo alle qualificazioni europee.

Il cagliaritano Binaghi, presidente della Federtennis, era un suo fiero oppositore. Ora invece i rapporti sono buoni.

«Più che buoni, direi ottimi. Ma, a parte qualche eccezione, sono gli stessi che ho con tutti i singoli presidenti federali, occorre rispettare coloro con cui condividi dei progetti. Vede, anche in questo caso: finita la vicenda elettorale, è l'ora di rimboccarsi le maniche e lavorare per il bene comune e per lo sport italiano».

Sulla gestione Fit però ci sono state due interrogazioni parlamentari.

«Sì, mi arrivano e le leggo per conoscenza... Devo dire che in questo senso la Fit è in buona compagnia con qualche altra federazione. Ovviamente c'è un ministero vigilante e un comitato olimpico che, per ciò che riguarda la propria parte di competenza, tiene fede al suo ruolo.

Se poi si appurerà che ci sono delle cose diverse da come appaiono, io non ne sono a conoscenza». (apal)

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