La Nuova Sardegna

Lo scrivano infedele che tentò di rubare i sogni a Maria Assunta

di ANNA SEGRETI TILOCCA e SILVIA DE FRANCESCHI
Lo scrivano infedele che tentò di rubare i sogni a Maria Assunta

di ANNA SEGRETI TILOCCA e SILVIA DE FRANCESCHI Giuseppe è un giovane di Pozzomaggiore forte e coraggioso; sposato da una decina d'anni con Maria Speranza, molto più giovane di lui, se la cava col...

01 settembre 2014
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di ANNA SEGRETI TILOCCA

e SILVIA DE FRANCESCHI

Giuseppe è un giovane di Pozzomaggiore forte e coraggioso; sposato da una decina d'anni con Maria Speranza, molto più giovane di lui, se la cava col bracciantato, ma ha anche una certa abilità nei lavori edilizi. Ma non c'è lavoro e quando decide di partire per New York con gli altri compaesani, la moglie si dispera cercando di dissuadere il marito. Eppure lui diceva di idolatrarla tanto che alla nascita del primo figlio aveva preso a servizio una domestica perché le belle mani della moglie non si sciupassero; tutti in paese ne conoscono l'attaccamento alla famiglia.

Nulla da fare. Il gruppetto di emigranti parte su un camion per Portotorres, da dove "Il duca di Genova" li porterà prima a Genova, poi a Napoli e infine a Nuova York. La nave è quasi nuova; non gli è toccata in sorte una "carretta del mare". Il viaggio da Napoli dura una trentina di giorni. Viaggiano naturalmente in terza classe e dormono, tormentati dagli insetti, in cameroni dove regna un misto nauseabondo di odori: urine, vomito, vino, cibi guasti, animali, sporcizia e sudore. I servizi igienici sono insufficienti e maltenuti, le malattie si diffondono rapidamente, anche per la mancanza quasi totale di assistenza medica e infermieristica. Qualcuno ci lascia la pelle. Il biglietto nelle altre classi però costava un occhio della testa, nella terza solo "dolore e spavento". Talvolta i passeggeri escono sul ponte a respirare una boccata d'aria, ma sono dei "cafoni" e vengono rimandati giù nelle stive a causa del loro aspetto sgradevole che disturba i viaggiatori di lusso.

Arrivata a New York, la comitiva resta unita, almeno fino all'espletamento di tutte le lunghe e spesso umilianti formalità alle quali impiegati e medici americani la sottopongono, ad Ellis Island. Ottenuto il visto, il gruppo si divide e ognuno prende la propria strada. I meno fortunati sono rispediti in Italia a causa di malattie gravi o di stati di alienazione mentale. L'ambiente si rivela tutt'altro che ospitale e ci vuole poco ad accorgersi che forse le lettere degli amici che "avevano già trovato l'America"contenevano un sacco di bugie. Gli vengono offerti solo lavori pesanti e occasionali, ma Giuseppe in fin dei conti se l'era cercata e a denti stretti accoglie tutte le proposte e raggranella qualcosa che periodicamente invia a casa con vaglia postale.

La moglie usa il denaro per vivere, ma anche per ingrandire la casa, realizzare un orticello come avevano sempre sognato: l'importante è rispettare le indicazioni che da lontano le impone il marito, attraverso le sue lettere piene di affetto che detta a uno scrivano, dato che lui è analfabeta. «Cara moglie stai allegra che non sarà lunga la mia emigranza e presto ritornerò nel tuo seno, non vi sarà nube alcuna che potrà violare il nostro sacro amore. Sono contento che il nostro Salvatore parli sempre del babbo lontano».

Un bel giorno si scatena l'inferno: la donna riceve una lettera che sembra scritta da un pazzo: «Mi accusava di essermi prostituita da sempre e così pure mia madre, che lo avevamo stregato con fatture, ma per fortuna in America stava riuscendo a liberarsi da quelle potenze malefiche, a isculare sas fatturas». Non sa che pesci prendere, ma è talmente sicura di sé che chiede aiuto al cognato Gavino, sacerdote ad Alghero: questi riesce per un po' a calmare il fratello lontano che, pentito, o forse rinsavito, chiede di perdonarlo e di dimenticare tutto: «Devi credere che ti son fedele e giusto fino alla morte e ti amo senza nube alcuna e dimentica come ho dimenticato io». La donna vorrebbe credergli, ma le lettere successive riprendono il vecchio ritornello; ora indirizzate ai figli che lui definisce «nati da una madre infedele», contengono accuse e allusioni ingiustificate, non più sopportabili. Maria Speranza è al colmo della disperazione e gli chiede di tornare a casa così si chiarirà tutto. Lui non ci pensa minimamente, ma ecco che succede qualcosa di ancor più inesplicabile; insieme ad una lettera di Giuseppe arriva, contenuto nella stessa busta indirizzata alla moglie, un foglietto scritto da un presunto amico, che sembra sapere tutto di lui e di lei. Le si rivolge in tono affettuoso, la informa che il marito le vuole bene, ma è pazzo di gelosia. Si firma Giovanni Maria ed è lo scrivano ufficiale della comunità dei sardi a New York, ne conosce tutti i segreti e di lui non si può fare a meno. Continua a mandare alla donna non solo le lettere del marito che lui dice di scrivere sotto dettatura, ma anche messaggi personali cui lei non dovrà mai riferirsi nelle risposte. Un giorno le invia un testo da ricopiare e spedire al marito dove si deve autoaccusare e riconoscere le sue colpe: «Caro marito, mi prostro ai tuoi piedi; riconosco di averti dato delle medicine, ma era solo per liberarti dal vizio del vino; è anche vero che mi trovasti con mio padre, ma era solo uno scherzo e così col maestro in casa».

Da questo momento la corrispondenza si infittisce e si ingarbuglia; lettere scritte dal marito, bigliettini dello scrivano, risposte della moglie. Un giorno lo scrivano dichiara il suo amore con parole appassionate, dicendone anche di cotte e di crude alle spalle del marito inconsapevole. «Cara gioia, mentre scrivo, il tuo ignorante dorme, non era degno di avere una moglie così buona e savia. Sono anche io un traditore della mia cara moglie che pure amo, ma rimetterò a posto tuo marito. Per ora non lavoriamo e contemplo il tuo ritratto, i tuoi capelli castagni, la tua civile testa con occhi grigi splendidi e penetranti, la tua bocca come una rosa in primavera con le tue labbra gelsomine concedimi il Paradiso, quanto il mio cuore desidera». Ma la donna è una persona seria e non ci sta: prende le lettere e le mostra ai genitori, decidendo di essere chiara e risoluta con lo sconosciuto spasimante, stanca di averlo lasciato chiacchierare «come le rane in mezzo all'acqua putrida nella primavera»; è pronta a denunciarlo ai carabinieri. Gli invia una lettera inequivocabile: la risposta dell'uomo non si fa attendere ed è piena di insulti, minacce ed accuse, ma per fortuna è l'ultima. Cessano anche le lettere del marito e i vaglia postali, ma i parenti si prodigano nell'aiutarla.

A novembre del 1914 rientra il marito che sfugge agli abbracci dei parenti e della moglie rifiutandosi di dormire con lei: cominciano i maltrattamenti; il fratello sacerdote cerca di calmare le acque, ma gli stati d'animo di Giuseppe sono troppo alterni per dare fiducia. Gli trovano una rivoltella ben nascosta nella valigia e riescono a sequestrargliela: ma le accuse riaffiorano e i maltrattamenti si ripetono. Più che i presunti tradimenti, pesa sull'uomo il ricordo delle "fatture" gettategli addosso dalla moglie; il cervello gli si annebbia. Fugge di casa e per otto giorni cerca tutte le fattucchiere della zona, ma quando torna è ancora più stravolto. Rifiuta ogni contatto con Maria Speranza e un giorno arriva a buttarla dalla finestra. A questo punto viene denunciato per tentato omicidio; forse era meglio, pensano parenti e amici, ricoverarlo in un manicomio. Ma l'Italia è appena entrata in guerra e Giuseppe è richiamato alle armi: i coniugi si salutano con affetto, un miracolo! Dal fronte arrivano lettere appassionate: chi sarà il nuovo scrivano?

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