La Nuova Sardegna

Tutti a Banari paradiso d’arte e crocevia di nuove tendenze

di Giacomo Mameli
Tutti a Banari paradiso d’arte e crocevia di nuove tendenze

Grande successo della Fiera del piccolo formato che mette in mostra mille opere. Economia e pittura: un seminario con lo scrittore Marcello Fois, critici e galleristi

25 agosto 2014
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BANARI. Che cos'ha da raccontare quell'uomo alto e smarrito, una valigia nella mano destra e la sinistra che regge tra collo e testa una grande palla? Che c'è in quel fardello? I drammi di un mondo che assiste ai naufragi quotidiani nel Mediterraneo, ai tagliatori di gola, agli esuli di un'anabasi senza fine? E quei cinque viandanti sul carro, in piedi, a scrutare l'infinito? È per caso un Tespi moderno che anziché trasferire attori porta nel mondo le disperazioni dei senzapatria?

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Lo potrà dire soltanto Paolo Staccioli che è uno dei primi scultori che vi parlano alla seconda Fiera d'arte del piccolo formato riproposta da quel genio instancabile che è il padrone di casa, Giuseppe Carta, artista sardo fra i più noti e apprezzati al mondo e che il mondo ha calamitato in questo villaggio incantato del Meilogu. Perché (con l'omonima Fondazione, il Comune, l'Accademia Mario Sironi, i contributi del Banco di Sardegna, della sua Fondazione, della Banca di Sassari e dell'industria casearia Pinna) con una modestia direttamente proporzionale a capacità organizzative rare in Sardegna, qui sono presenti oltre 180 artisti di primo livello con mille opere griffate Europa e Asia, Americhe e Canada. È un dolcissimo naufragio in un oceano di casa e che conferma la vivacità di alcuni piccoli centri davanti alla grandezza dell'arte.

Parla nelle strade del paese, nei portali aragonesi, nella trachite che calpestate per strada. A Palazzo Tonca, Guggenheim di Sardegna. Perché Banari è Arte. E se il formato è volutamente piccolo, ecco in contrappunto la grandezza del linguaggio universale di pittura e scultura.

I corpetti di Ziranu

Di quali misteri parlano i ciottoli neri di Giampaolo Mameli che, con la perizia della moglie Rosa Spanu, è diventato maestro del bucchero e gli dà plusvalore con foglie d'oro che sembrano voler rischiarare un mondo di tenebre? E quegli smalti ceramici sghembi di Giuliana Collu con i suoi atlanti di terra e di fuoco, deformi di colori strazianti in una terra sospesa tra alluvioni letali e roghi immani?

Il cuore in subbuglio si placa davanti ai nipotini di Luigi Pillitu e ai prati verdi e gialli di Mario Lai: i paesaggi li fa parlare con nuvole e cieli celesti, con muri di pietra affrescati dai licheni della preistoria. Pochi passi e altre firme di maestri scorrono da una stanza all'altra.

Ogni quadro vi prende per mano, come il sole di Maria Lai fra gli strapiombi di calcare a Ulassai. Mario Zedda porta indietro nel tempo alle suggestioni di Mario Delitala e Pietro Antonio Manca. Il "Deposto" propone una croce arrossata dal sangue di Cristo, il capo ancora coperto di spine e sprazzi di luce che rischiarano l'Inri di Jesus Nazarenus Rex Judaeorum. Il mondo dei sogni con le terracotte policrome del toscano Gian Carlo Marini che, con i suoi "Desideri che si confondono" serpeggia tra amazzoni sfrenate più che a Piazza del Campo e incontrollabili pulsioni. Davanti ai corpetti di Roberto Ziranu sembra di tornare in una casa sarda ma viaggiare anche per il mondo, con nastri viola se sei donna, nastri color acciaio se sei uomo.

Appaiono gli inchiostri di china di Lidye Dassonville, l'avvenirismo giallo e sanguigno di Phil Berthot, i campi di colza nel nord della Francia di Francine Benhamou.

Alcuni di questi artisti ci sono. E mirano gli osservatori. Ma anche gli assenti sembrano di casa in questo museo di un villaggio che parla Oltralpe e Oltreoceani, con questa liaison che proietta un paese nell'universo mondo.

Giuseppe Carta guarda gli ospiti. Si vede che è felice dentro. Locale e globale. Non è universale il sorriso a denti schierati della Palinquera di Heins Rosario e la Resistenza Indiana di Ignazio Cuga?

Mercato dell'Arte

In barba a ex ministri saccenti, la cultura dà da mangiare, muove capitali, crea business. Occorre avere le competenze giuste. A Banari ci sono a tutto tondo. Sabato mattina sono emerse durante un seminario nell'aula consiliare del Comune gremita come non mai e tanti ad ascoltare fuori, sotto una quercia secolare.

Il parterre era di tutto rispetto: il critico Maurizio Coccia docente a Sassari e manager a Trevi, Massimo Ferrarotti che a Milano dirige la galleria Spirale ed è amministratore della società Mercanti d'idee, Gerardo Giurin spazia fra pop art e contemporaneità, lo scultore Gian Carlo Marini della galleria La Soffitta di Firenze, gli artisti Sisinnio Usai e Angelo Tilocca. Aggiungeteci lo scrittore-commediografo Marcello Fois e un vero mecenate d'arte come Gian Paolo Porcu. Volevasi dimostrare che la cultura crea business. La dimostrazione c'è stata.

Incanti

Anche ieri si è fatta mezzanotte salutata dal canto degli uccelli notturni. In piazza San Lorenzo, con tanta gente (bambini e bambine in estasi) si è esibita la Compagnia Danza Estemporada di Sassari con la coreografia e regia di Livia Lepri, drammaturgia di Marco Enrico, luci di Antonio Sisto, progetto video di Marco Piras organizzati da Mario Pinna. Un turista di Grenoble, sentito il canto della civetta ha detto: oh la la, la chouette.

Sì. Ogni atto d'arte, a Banari, avviene sotto il segno della chouette. Pardon: Sa Tonca. Dove a parlare sono le opere di Carta.

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