La Nuova Sardegna

Dalla Chiesa risorse per aprire i cantieri

di Mario Girau
Dalla Chiesa risorse per aprire i cantieri

Ogni anno le diocesi sarde potrebbero spendere tre milioni e mezzo per edifici nuovi o restauri

19 agosto 2014
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CAGLIARI. Che fa la Chiesa sarda per contrastare la disoccupazione? Solamente lettere pastorali, veglie di preghiera e appelli alla solidarietà? No, fa anche altro. Crea posti di lavoro e mette sul campo risorse per assicurare una busta paga a muratori, imbianchini, falegnami, elettricisti, indotto escluso. Ogni anno almeno 3,5 milioni di euro immessi sul mercato che possono raddoppiare fino a 7 milioni. Solamente per la costruzione e l'adeguamento di complessi parrocchiali in questo momento si contano 15 interventi in atto per una spesa totale di circa 6,5 milioni di euro. Don Francesco Tamponi, nato 56 anni fa a Santa Maria Coghinas, occupa due frontiere entrambe ricche. Una di umanità, nel carcere di Tempio Pausania, di cui è cappellano. La seconda di storia, arte, tradizione, in qualità di delegato regionale per i beni culturali. Un campo di lavoro immenso, quest'ultimo, che ha pur sempre risvolti pastorali. «I beni ecclesiastici - dice il sacerdote - quantitativamente equivalgono a circa l'86% di tutto il patrimonio culturale regionale». Un tesoro di incalcolabile valore che ha bisogno di costante manutenzione e restauri continui. La Conferenza Episcopale Italiana, attraverso i fondi dell'8 per mille, fa la sua parte. Ogni diocesi annualmente può accedere, infatti, a un cofinanziamento pari a 350 mila euro, concesso esclusivamente in presenza di un'analoga somma messa sul tavolo dalla stessa diocesi, da un ente pubblico, dai parrocchiani. «Il calcolo - dice don Tamponi - è semplice: complessivamente la Chiesa sarda potrebbe contare su 3,5 milioni di euro/anno, purchè si trovi una somma equivalente stanziata da un altro soggetto che, considerato l'importo, non potrebbe essere che pubblico. Dunque 7 milioni cash da trasformare in cantieri aperti, lavoro diretto e indotto, salari e stipendi». Considerata la crisi, scusate se è poco. Dal 1996 a oggi la Cei ha finanziato in Sardegna restauri per quasi 10 milioni di euro. «I beni culturali con le risorse di cui parliamo - dice don Tamponi - hanno creato e continuano a farlo posti di lavoro in Sardegna. Se si riuscisse a sollecitare gli amministratori pubblici a una maggiore attenzione verso valenza e potenzialità del patrimonio culturale custodito dalla Chiesa sarda, si potrebbero attivare in sinergia ulteriori opportunità occupazionali. Le singole realtà diocesane in alcuni casi sono, purtroppo, impossibilitate ad accedere ai fondi Cei proprio per mancanza di risorse da mettere in campo come finanziamento- base». Soltanto nel settore dei restauri le diocesi sarde aprono in media due-tre cantieri all'anno in ogni territorio di pertinenza, cofinanziati dall'8x1000 alla Chiesa cattolica: dunque, circa 30 nell'intera regione. Vera manna nei centri più poveri. «Nei piccoli comuni - diceva monsignor Antioco Piseddu, fino allo scorso aprile vescovo di Lanusei - gli unici operai in tuta e casco sono quelli addetti per alcuni mesi alle riparazioni delle chiese».

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