La Nuova Sardegna

Mattanza a San Pietro. I luoghi di “Megalitico”

di Paolo Curreli
Mattanza a San Pietro. I luoghi di “Megalitico”

Carloforte, la pesca, la storia, la natura: i consigli del jazzista

15 agosto 2014
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SASSARI. Nella musica di Gavino Murgia c'è un suono profondo e tellurico. Arcaico nonostante le sue composizioni siano fortemente contemporanee. Pensando alla sua Sardegna si vola subito sulle montagne del Supramonte, si pensa a lui come a un menhir barbaricino “Megalitico” come il titolo di un suo stupendo lavoro.

«La Sardegna è talmente bella e ricca di cose uniche che è sempre davvero difficile scegliere un itinerario da proporre. Per quanto ami le montagne e la Barbagia porterei un amico in un luogo che secondo me raccoglie tante cose della mia terra. Le condensa in un territorio relativamente piccolo ma affascinante – dice il musicista –. Un luogo prezioso, è il termine giusto, ricco di storia, natura e di un mestiere antichissimo. Di cui mi sono innamorato e a cui ho dedicato il mio l'ultimo disco; è l'isola di San Pietro e il paese di Carloforte».

Un luogo magico, lavoro antico. L’anno scorso Gavino ha allestito una sala di registrazione dentro un piccolo teatro nell'isola tabarchina e ha creato “L'ultima mattanza”, in trio con Michel Godard alla tuba e al basso elettrico e Patrice Herae alla batteria e percussioni. «E' un luogo che trovo magico e particolare, mi ha affascinato il rito e il lavoro della pesca del tonno. Una cosa unica che ormai sopravvive solo da noi. Una tecnica raffinata in migliaia di anni attraverso l'osservazione e la comprensione della natura. Una pesca sostenibile che risparmia le femmine e i piccoli del tonno che torneranno l'anno dopo per la prossima mattanza. E anche in questa cosa c'è la storia della nostra isola, una risorsa che ci viene portata via come tanti altri nostri tesori. Ormai le grandi navi ingabbiano i branchi al largo e li portano lontano per essere lavorati. Una storia di cultura e lavoro, preziosa, sopravvissuta per millenni che scompare in un attimo. Carloforte è un luogo dove i sardi si sono mischiati, hanno accolto altre genti, hanno fraternizzato, come è accaduto tante altre volte nella nostra storia».

Ascoltando la voce del vento. Il disco di Gavino Murgia è un concept, una meditazione e forse un epitaffio conclusivo per “L'ultima mattanza”. «Porterei un amico quando l'alba è ancora lontana ad ascoltare le voci del vento, del mare e degli uomini che si preparano alla pesca. Una vacanza e un viaggio sono anche la rottura dei ritmi di tutti i giorni, del lavoro e della città». Atmosfera descritta intensamente nei brani del disco che hanno l'ordine del lavoro dei tonnarotti e titoli come “Prima della battaglia”, “Abissi” o “Sounds of Carloforte”. «L'accompagnerei a incontrare questo rapporto con la natura che è anche sangue e battaglia, sudore. Non solo armonia e solidarietà. Valori grandi importanti che i lavori antichi le tecnologie arcaiche ma raffinate si portano addosso, umiliate dalla legge del profitto, che scompaiono perché non sono funzionali al mercato globale. Sono tesori che non hanno prezzo.

Un'altra scoperta per un ospite è la grande cucina carlofortina. Il tonno è per loro quello che per il mondo agro pastorale è il maiale, una risorsa preziosa di cui non va sprecato niente, e che crea dei piatti davvero raffinati, imperdibili».

La Grotta dei Colombi. Un itinerario che non può dimenticare la natura. «San Pietro, come tutta la Sardegna, è ricca di luoghi incantevoli, che credo non si trovino in altre parti del mondo. Consiglierei una visita alla Grotta dei Colombi, un luogo straordinario. Un piccolo mare chiuso all’interno della scogliera. Da cui si può ammirare l’orizzonte più grande del mare esterno. Un luogo raggiungibile solo in barca, o attraverso una discesa molto ardua nella scogliera a picco sul mare che lo rende ancora più particolare ed esclusivo. Un universo chiuso magico e raccolto, un’esperienza intensa».

Un pellegrinaggio. «Io personalmente ho voluto fare una visita, un piccolo pellegrinaggio nel mare dell’isola di San Pietro dove Sergio Atzeni ha perso la vita. Un luogo importante per la nostra cultura e la nostra l’identità contemporanea. Ne è nato un brano che ho chiamato “I danzatori delle stelle”. Credo che un lettore sensibile dei suoi libri possa rivivere le stesse emozioni che quel luogo ha dato a me».

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