La Nuova Sardegna

Maalouf a “Dromos” Il jazz che parla di pace

di Caterina Cossu

Il musicista libanese: «La mia musica contro la guerra»

31 luglio 2014
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MOGORO. «Vivo un costante paradosso, sul filo del compromesso. Sono nato in Libano nel 1980, nel mezzo della guerra civile, e mentre mia madre mi dava alla luce l’ospedale veniva bombardato. Quando vivi queste cose, passi tutta la tua vita a rimuginarci su, è la tua realtà. E ogni giorno devi mediare, per continuare a vivere. Ora ho 33 anni, vivo in occidente, ho una vita felice, viaggio e faccio musica, mi diverto a suonare. Sono sentimenti che si contaminano, la forza esplosiva della felicità di ora si mischia vorticosamente con i drammi che ho vissuto e quelli che vedo continuamente, come ora da Gaza. Questo è il compromesso della mia vita e questo è anche il compromesso della mia musica».

Martedì sera il trombettista di origini libanesi Ibrahim Maalouf è il primo Eden di Dromos. Sale sul palco di Mogoro assieme alla sua band, i tre trombettisti Yann Martin, Youenn Le Cam e Martin Saccardy, il tastierista Frank Woeste, il chitarrista François Delporte, il bassista Laurent David e il batterista Stéphane Galland. Un concerto profondo, incentrato sulle melodie del suo quinto e più recente album, già miglior disco di World Music ai Victoires de la Musique 2014, “Illusions”. Ma c’è anche “Beirut”, il suo brano più noto, dove ricompare quel ragazzo di 12 anni sulle strade della sua città per la prima volta, da quando i genitori l’avevano strappato all’orrore della guerra. Poi, i suoi occhi si posano su un’autobomba, le macerie, la morte. Ibrahim Maalouf si fa sopraffare dalla paura. Studia già la musica, è abituato a soffiare il fiato nella tromba che ha inventato suo padre negli anni sessanta e che gli permette di suonare con il jazz i quarti di tono tipici della musica mediorientale. E lì, nella sua città d’origine, così sventrata, raccoglie quel fiato che gli resta in corpo e si lancia a perdifiato. Per sopravvivere a quella sensazione, si tappa le orecchie con gli auricolari e le note dei Led Zeppelin. Che riporta all'inaugurazione di Dromos, con lo stesso fragore dirompente e attualissimo, riscontrabili ogni giorno nelle immagini che arrivano da Gaza.

«Se ascoltate bene la mia musica, potrete percepire tutte le cose che cerco di comunicare sulla pace e l’amore — spiega Ibrahim Maalouf —. Quello che accade oggi a Gaza mi riporta al Libano del 2006, quando Israele bombardò il mio paese per un mese intero, senza sosta, ogni giorno. Quel che sta accadendo oggi è umiliante per l’intera umanità. Mi alzo la mattina e vado a letto la sera con le immagini di Gaza e ogni volta che suono lo faccio anche per loro, costantemente». La commistione di ritmi è penetrante come un sentimento che ghermisce senza scampo. Nemmeno l'imprevedibile temporale estivo e il vento freddo che hanno battezzato, ma non rovinato, la partenza di questa edizione 2014 del festival può raffreddare il suo jazz rovente.

«Non so come vengano questi mescolamenti, ma arrivano. Sono libanese, per cui sono arabo. Ma ora vivo in Francia, per cui sono anche francese. E sono diventato anche un occidentale. Nella mia musica unisco tutte le cose che amo, ma è la melodia a dover nascere già con la commistione, senza forzature. E la sperimentazione è la vera chiave di tutto».

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