La Nuova Sardegna

Stop al pascolo brado e ai maiali clandestini

Stop al pascolo brado e ai maiali clandestini

La ricetta di Josè Manuel Sanchez Vizcaino: in Spagna ha cancellato la malattia Lui promette: «Non faremo un abbattimento indiscriminato di tutti i capi»

29 luglio 2014
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CAGLIARI. Nome e cognome insieme sono da record del mondo: Josè Manuel Sanchez Vizcaino. Gli spagnoli, si sa, sono fatti così, all’anagrafe abbondano. Ma il vero primato di questo professore universitario è un altro: se non ci fosse stato lui, dalle sue parti sarebbero ancora nei guai con quella che in Sardegna sembra essere un’epidemia invincibile, la Peste suina africana. Senza le sue idee su come si esorcizza il male e se non fosse quello che è, un generale dalle regole ferree ma brillante nelle strategie, il celebrato prosciutto spagnolo oggi sarebbe ancora fuorilegge in Europa. Altro che eccellenza, contesa dovunque a suon di dollari ed euro, sarebbe bandito, contaminato, bloccato alla frontiera, invendibile, come lo è stato per 30 anni, dal 1965 al 1995. Fino a quando, dopo ben tre tentativi falliti sempre in malomodo, è arrivato lui, Josè Manuel Sanchez Vizcaino, che ha liberato la Spagna dalla piaga della Peste suina africana. Ora vuole ripetere l’impresa in un’isola che il ministero della Salute vuole commissariare, mettere sotto tutela romana, per non «essere stata capace di farcela da sola». A sue spese, il professore dell’università veterinaria di Madrid è arrivato al capezzale del grande malato, la Sardegna, convocato a gran voce dall’assessore alla Sanità, Luigi Arru, che alla provocazione ministeriale ha replicato con «il miglior esperto al mondo nella guerra contro la peste». Sanchez Vizcaino non è ancora un consulente della Regione, chissà se lo sarà in futuro, oppure gli chiederanno solo di «trasferire la sua formula magica» ai veterinari nostrani, sta di fatto che con lui a fianco, la Sardegna potrebbe farcela anche da sola, alla faccia del ministro Beatrice Lorenzin. Bisogna crederci, per forza, in Josè Manuel Sanchez Vizcaino, che giura: «Se l’impegno è massimo e fate gioco di squadra, in due anni avrete vinto la vostra guerra santa».

Professore, com’è riuscito a liberare la Spagna dalla Peste suina?

«Con il coinvolgimento di tutti gli allevatori in una battaglia comune, sacra, sociale ed economica allo stesso tempo. Nel 1985, la penisola Iberica era infestata dal virus, eravamo disperati, ma proprio quell’anno abbiamo capito di essere a un passo dal capolinea, dalla fine».

Allora che ha fatto la Spagna?

«Abbiamo prima aggredito il virus negli allevamenti intensivi che da noi sono il 90 per cento, poi quelli bradi. Con determinazione, senza più pensare che il virus fosse invincibile o un nemico in casa a cui ormai dovevamo abituarci».

Prima ha lavorato sul coinvolgimento degli allevatori, poi sugli animali: è stato così?

«Esatto. Chiunque ha fatto la sua parte e bene nella campagna per debellare il virus. Ognuno era consapevole che senza più quel nemico in casa, avremmo guadagnato di più e la nostra economia avrebbe ripreso a correre. L’abbiamo fatto, abbiamo assicurato a ogni allevatore il giusto risarcimento e ci siamo riusciti».

Risarcimenti? Spesso sono peggio del male, è stato così anche in Sardegna

«No, se sono giusti sono tutti d’accordo. Perché se troppo alti, finiscono per scatenare la speculazione, o se troppo bassi, convincono gli allevatori che è meglio far sparire i maiali da qualche parte. Ripeto, i risarcimenti devono giusti e pagati subito».

Però per vincere avete abbattuto tutti i maiali, non sono quelli infetti, anche i portatori sani.

«È vero quella è stata la nostra scelta per bonificare la Spagna dalla Peste suina ma non è detto che questa medicina vada bene anche in Sardegna. Ogni malato, ha la sua terapia e oggi comincio a studiare la vostra».

Prego, dica pure.

«Prima di tutto, sia chiaro, potrebbe non essere necessario abbattere tutti i capi. Potrebbe bastare isolare, chiudere in recinti alti e inviolabili, gli animali in buona salute, per evitare che vengano a contatto non solo con quelli infettati, ma soprattutto con i portatori sani e ancora meno con i cinghiali che sono uno dei veicoli peggiori per la diffusione del virus. Il maiale che è incontaminato, io lo metto in quarantena, lo salvo e con lui salvo uno o più allevamenti».

Ottima idea, ma in Sardegna il vero problema è il pascolo brado e spesso anche clandestino.

«È l’esatto contrario della Spagna: da noi è in maggioranza quello intensivo e dunque, va riconosciuto, debellare il virus è stato più facile».

In Sardegna, siamo dei campioni nel complicarci la vita.

«Nessun allarme, prego. Nella vostra situazione servono regole certe, dure e severe. Ad esempio, far capire agli allevatori che il pascolo brado può essere anche recintato e non sembri una contraddizione. Basta convincerli che è meglio avere cinque maiali sani che puoi macellare ed esportare senza divieti dell’Europa, e non cento infettati messi al bando fuori dalla Sardegna».

Il concetto è molto semplice, quasi ovvio: applicarlo molto più difficile.

«No, se tutti siamo coinvolti nello stesso progetto, se a dominare è la cultura della legalità, se le istituzioni sanno conquistare il consenso sociale, se siamo stati capaci di ascoltare quello che ci chiedono gli allevatori, direi vanno sentiti uno per uno. A quel punto chi combatte la Peste suina non sarà visto come lo sceriffo, ma sarà un indispensabile e necessario aiutante di campo. Se passa questo messaggio, che chiamerei di buona educazione sociale ed economica, allora anche le regole, persino quelle all’apparenza più pesanti, saranno rispettate in nome di un ritrovato bene comune e a trionfare sarà la cultura della legalità insieme allo sviluppo».

Un passo indietro: non manca il passaggio preliminare del censimento?

«Giusto. È indispensabile. Io di solito divido gli allevatori in tre categorie».

Quali sono?

«Quelli che allevano i maiali per far fronte solo alle strette necessità familiari e a questi dico: teneteveli nei recinti, nelle fattorie, perché se volete che restino sani non devono essere liberi di andare da una parte all’altra delle campagne. Teneteli sotto controllo».

Seconda categoria?

«Sono gli allevatori intermedi, quelli che poi macellano e producono insaccati per venderli nei negozi e alle fiere. Ebbene, in questo caso: ogni maiale dovrà essere registrato e certificato. Non ci può essere neanche un suino di cui non si conosce proprietà e provenienza. È una regola, quella del censimento obbligatorio, non invasiva, ma che ha un grande effetto. Ci permette d’intervenire con tempestività e all’origine dell’emergenza, cioè da subito sulla mappa sappiamo individuare il luogo in cui è scoppiato l’ultimo focolaio, e fermarlo prima che altri suini abbiano la possibilità di veicolare il virus».

Terza categoria?

«Gli allevamenti intensivi, definiamoli industriali. Ma so che in questi casi le aziende sarde adottano da tempo contromisure efficaci».

In sintesi, i problemi sono due: gli allevamenti clandestini e il pascolo brado.

«Esatto e sono proprio quelli che vi contesta l’Europa. Ma col consenso popolare, poche regole, l’ottimo team scientifico che già avete e coordinato da una direzione unica e i giusti risarcimenti economici, la guerra contro la Peste suina potete vincerla. Lo dico con certezza: vi basteranno due anni, massimo due anni e mezzo».

Però giuri: non consiglierà in Sardegna l’ecatombe consumata in Spagna: questa sì che terrorizza gli allevatori.

«Lo giuro, ma solo se nessuno violerà i comandamenti del bravo e onesto allevatore. Altrimenti, purtroppo bisognerà pensarci. In un certo momento della battaglia, dalla mie parti, l’abbattimento totale è stato necessario per fermare l’epidemia e il virus alla fine si è esaurito da solo, ma quella è la Spagna e qui, in Sardegna, lo giuro ancora una volta, sono molto più ottimista e solo con le regole, possiamo farcela. Credetemi». (ua)

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