La Nuova Sardegna

Oro rosso, il caso Alghero: la rivolta blocca l’industria del corallo

di Giovanni Bua
Oro rosso, il caso Alghero: la rivolta blocca l’industria del corallo

 I pescatori sono fermi da un anno: «Non ci sono misure di sicurezza e la Regione non dà l’ok al robot salvavita»

26 luglio 2014
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ALGHERO. Venticinque corallari, quasi tutti operanti ad Alghero, che da soli potrebbero tirar fuori dal ventre più profondo del mare 5 tonnellate di oro rosso all’anno, 7 milioni e mezzo di valore grezzo, 75 milioni di valore potenziale a filiera conclusa. Con un indotto da cui già oggi campano centinaia di famiglie e decine di aziende.

Ma da 12 mesi tutto è fermo. E nemmeno un grammo del prezioso “fiore-animale” viene portato a riva. A spiegarne il motivo il presidente dell’Associazione italiana sommozzatori corallari Massimo Ciliberto, 35 anni in bombole e picozza a combattere sotto il mare: «Non vogliamo più morire a 120 metri di profondità, senza nessuna misura di sicurezza. Non è legale e non è nemmeno giusto».

Gli oggetti del contendere sono vari, e la tensione è alle stelle già dallo scorso anno. Con un gruppo corallari che hanno “sfidato” la Regione rifiutandosi di firmare l’autodichiarazione nella quale si prendevano le responsabilità per la loro sicurezza, e la Regione che, messa in mora, quest’anno non ha pubblicato il decreto che fissa le regole della pesca per la stagione.

«Il vero problema – attacca Ciliberto – è che i pescatori di corallo non vengono riconosciuti come sub industriali, nonostante operino tra gli 80 e i 120 metri di profondità. E quindi si vedono negate le misure di sicurezza obbligatorie da anni per attività di questo tipo». Si parla, solo per citare alcuni parametri, di una tuta di immersione che assicuri la protezione contro la pressione, di squadre di salvataggio in accompagnamento, di camera iperbarica ed equipe medica in appoggio. Abbastanza per rendere un’attività ancora al limite dell’artigianale economicamente insostenibile. La soluzione? «Si chiama Rov – spiega Ciliberto – un piccolo veicolo a controllo remoto che dal 2012 si può usare in forma sperimentale in tutti gli Strati membri del Gfcm, organismo della Fao, per pescare il corallo». Peccato che la Regione la pensi diversamente. E il “robottino salvavita” sia assolutamente proibito. Il motivo? «Un certo vetero ambientalismo – attacca Ciliberto – per il quale di pensa che con il Rov si pescherebbe in maniera indiscriminata. Cosa assolutamente falsa. Visto che la pesca sarebbe anzi più selettiva e rispettosa delle pezzature e delle qualità di corallo ammesse. L’unica differenza sarebbe che non andremmo più a morire sotto il mare, come dimostrano le esperienze di chi il Rov lo usa, come il Giappone».

Una richiesta che trova resistenze fortissime. Anche tra gli stessi corallari, con alcuni che preferiscono il metodo tradizionale. «Non è con loro che abbiamo problemi – chiude Ciliberto – anzi. Chiediamo alla Regione di avviare, come nel resto d’Europa, la sperimentazione fino al 2015 del Rov. E magari affiancare la pesca in immersione sotto controllo medico. Poi tireremo le somme». In attesa di una risposta il mercato dell’oro rosso inizia ad accusare i primi contraccolpi, prezzi al rialzo e invasione di coralli di pessima qualità. E, se la soluzione non salterà fuori, purtroppo è solo l’inizio.

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