La Nuova Sardegna

«La sinistra vince solo se sa parlare a tutti»

di Anna Sanna
«La sinistra vince solo se sa parlare a tutti»

Intervista con Francesco Piccolo, che domenica sarà all’Argentiera

22 luglio 2014
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SASSARI. Da Berlinguer al caso Moro, fino al governo Prodi e al ventennio Berlusconi. Visti con gli occhi di un uomo di sinistra nato negli anni Sessanta. Francesco Piccolo racconta la sua formazione e un pezzo importante della storia del nostro Paese nel romanzo “Il desiderio di essere come tutti” (Einaudi). Il vincitore del Premio Strega, sceneggiatore di grandi successi del cinema italiano (“Caos Calmo”, “Il caimano”, “Habemus Papam” e “Il capitale umano” di Virzì), domenica 27 sarà all’Argentiera ospite del festival “Sulla terra leggeri”. Con lui sul palco Walter Siti, Premio Strega 2013, per un confronto sul tema dell’infinito e dei limiti, sia nell’eros che in politica.

Alla base del libro c’è l’idea che la vita pubblica entri a far parte della vita del singolo e viceversa. Come mai ha deciso di sviluppare questo concetto?

«È un’idea che avevo in testa da tantissimo tempo perché nella mia vita queste due cose si erano molto condizionate l’una con l’altra. E poi anche perché credo che se si vuole scrivere un romanzo di formazione di natura autobiografica questa era una strada nuova e molto sincera. In più, credo moltissimo alla sfera pubblica, al fatto che una persona non sia soltanto il privato ma che privato e pubblico ne facciano parte allo stesso modo.

A un certo punto la sua vita incontra i fatti che accadono nel mondo. È il 22 giugno 1974, si gioca la partita tra Germania Ovest e Germania Est e lei diventa comunista.

«Il romanzo va a cercare i momenti in cui la vita di questo personaggio è cambiata. Quello è uno dei momenti decisivi, perché a causa di un goal della Germania Est contro la Germania Ovest, cioè dei deboli contro i forti, lui sente di appartenere a quell’altra storia, di avere simpatia per i deboli, per quelli che sono poveri, sconosciuti e fragili. E questa è la spinta iniziale per andare verso una storia di un uomo di sinistra».

Il desiderio di essere come tutti. Cosa significa, e chi sono “tutti”?

«Il titolo arriva da una frase di Natalia Ginzburg che dice che la vita di una persona è fatta dal voler essere diversa dagli altri e allo stesso tempo dal voler essere come gli altri. Ed è proprio la sintesi del rapporto difficile e complesso tra privato e pubblico. Poi quel “tutti” è il titolo dell’Unità il giorno dopo i funerali di Berlinguer, e il libro racconta in maniera articolata il senso di quel tutti, la differenza che il protagonista prova tra l’idea iniziale che si fa di questo tutti, cioè noi tutti di sinistra, e l’idea finale di tutti, cioè tutto il Paese».

Quei funerali hanno segnato la fine di un’epoca, anche nel rapporto tra la sinistra e la società?

«I funerali di Berlinguer vengono visti oggi come la fine del Pci per quello che era, nel modo in cui era, e anche di una storia specifica. Dopo è stata una storia diversa, molto criticabile come io faccio nel libro. Ed è cambiato tutto. Del resto Berlinguer ha rappresentato un’epica della politica che essendo stata sottratta all’emotività ha cambiato la storia di tutta la sinistra italiana».

Nel libro analizza l’equivoco che ha caratterizzato la storia della sinistra negli ultimi vent’anni: l’idea della diversità, di essere la parte migliore del Paese.

«La parte finale della storia di Berlinguer, costretta dagli eventi, ha spinto verso l’idea della diversità. Questa eredità che ha lasciato involontariamente, perché è morto all’improvviso, ha condizionato negativamente la storia della Sinistra. Perché la sinistra ha sentito una supremazia, una superiorità eccessiva nei confronti del Paese. Tutto questo l'ha al di fuori dei giochi. E credo invece che la partecipazione alla vita del Paese, le responsabilità dirette debbano far parte di una forza politica che tenta di cambiare nei fatti il Paese in cui opera».

Invece cosa c’è di attuale nel messaggio di Berlinguer?

«Con il compromesso storico Berlinguer metteva le basi per una voglia di riformare il Paese. Credo che questo sia ancora validissimo: si parla tanto del tentativo di fare le riforme; il suo insegnamento includeva una strada per realizzarle. Includeva tutte le persone con cui si poteva dialogare. L’idea del compromesso storico era di inglobare nel mondo che aveva a che fare con il Pci anche i cattolici, la borghesia. Un modo di pensare all’essere democratici che gli altri partiti comunisti in Europa non avevano».

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