La Nuova Sardegna

«Recito l’Italia di Sorrentino Siamo tutti Tony Pagoda»

Intervista con Iaia Forte che stasera porta in scena a Nora “Tutti hanno ragione” «Più facile riconoscersi nelle persone disumane che in quelle troppo umane»

20 luglio 2014
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NORA. «Paolo Sorrentino in “Tutti hanno ragione”, riesce a scrivere la storia di un cantante, di un musicista, con una lingua che è proprio ritmica, musicale. Spesso la nostra drammaturgia si sofferma più sul plot. Invece è fondamentale, la lingua, è il primo ponte espressivo». Iaia Forte racconta la genesi dello spettacolo nato dal libro in scena stasera al Teatro Romano (con inizio alle ore 20). Un’idea nata da casualità e passione. Quando fu chiamata da Sorrentino per leggere alcuni capitoli del romanzo – che ha come protagonista il cantante napoletano Tony Pagoda all'apice della carriera negli anni '50 – all’assegnazione del Premio letterario Fiesole, Iaia Forte chiese subito di poterlo mettere in scena. «Sono da sempre interessata alla drammaturgia contemporanea, ho capito che era scritto con una lingua così profondamente teatrale. Naturalmente è stata una sfida, ma il teatro è uno di quei pochi spazi dove ci si può esprimere senza i limiti del naturalismo, non c’è confine di età, sesso».

E la sfida, con parrucchino rossiccio e laccato, occhiali e abito maschile, è stata vinta. «Sono contentissima perché lo spettacolo a Milano ha avuto recensioni meravigliose. E poi sono appena tornata dagli Stati Uniti, New York, Washington, Detroit, un tour americano. Questo naturalmente anche grazie all’Oscar a “La grande bellezza». «E poi – sottolinea l’attrice – c’era anche un bel cortocircuito, perché Tony Pagoda va lì a fare il concerto e anch’io facevo lo spettacolo in America». Proprio su quella memorabile serata tra alcol e coca, spiega, è focalizzata la messinscena. “Lo spettacolo è centrato sui primi due capitoli del libro, che raccontano il momento in cui Tony Pagoda è al Radio City Music Hall, per una esibizione a cui assiste anche Frank Sinatra. Quindi c’è il concerto, in cui io canto anche tre canzoni, c’è l’incontro con Sinatra, una notte con tre prostitute e una riflessione sulla sua vita che appartiene alla parte finale del romanzo».

Visto il successo, dopo la tournée estiva, lo spettacolo sarà ripreso nella prossima stagione?

«L’anno prossimo proseguo con una tournée italiana. Sono felice perché è una cosa che ho fatto con la mia regia e quindi è una soddisfazione doppia come attrice e come autrice».

Quali affinità trova con Tony Pagoda, non solo personaggio maschile, ma anche cocainomane, sempre al limite, provocatorio e pieno di inquietudini esistenziali?

«Di questo personaggio mi seduce molto la sua disperata vitalità. È vero, c’è la sua “gradassaggine” , ma si capisce che c’è qualcosa di tragico in lui. E siccome Sorrentino non ha mai moralismi, una sua grande dote anche al cinema, non è mai né sentimentale né moralista, così questo personaggio non è mai direttamente spudorato rispetto ai suoi disagi. Si leggono fra le righe. Questa è una cosa che mi parla, evidentemente c’è anche in me un grande pudore nei dolori, nei disagi. Questo aspetto mi parla profondamente. Insieme all’ironia, così caustica – anche cinica, ma profondamente umana. Alla fine trovo che sia più facile riconoscersi negli umani disumani che negli umani troppo umani».

E poi c’è la passione per il canto…

«È uno spettacolo pop, tra comicità e canzoni. Con Sorrentino ne abbiamo scelto due dal suo primo film “Un uomo in più”, in cui il protagonista Tony Pisapia era già un po’ Tony Pagoda, e poi la celebre “Non è peccato” di Peppino Di Capri. Adoro cantare, anche se naturalmente non sono una cantante professionista, e non solo come Tony Pagoda. L’anno prossimo lo farò con la regia di Mario Martone e L’orchestra di Piazza Vittorio, nella “Carmen” di Bizetriscritta da Enzo Moscato».

Ci sono attinenze tra questo romanzo e “La grande bellezza”, giusto?

«Come no. Rileggendo la parte finale ho ritrovato tutti i germi del film. Roma diventa il microcosmo di un mondo ormai alla deriva sia nel film che qui. Ma anche la solitudine, quella disperata vitalità che non sa vedere la propria disperazione… appartengono a Tony Pagoda come ai personaggi del film. Trovo che la cosa che l’ha fatto amare così tanto all’estero non sia solo la città, la bellezza di Roma, ma sia il fatto che gli esseri umani riconoscono quello sperdimento che appartiene a tutti i personaggi de “La grande bellezza”. Sono tutti sperduti, tutti soli e incapaci di riconoscere questo mal di vivere».

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