La Nuova Sardegna

Vaccini per la lingua blu: «Così truffarono l’isola e ignorarono i nostri allarmi»

di Umberto Aime
Vaccini per la lingua blu: «Così truffarono l’isola e ignorarono i nostri allarmi»

L’ex assessore alla Sanità Capelli aveva fatto eseguire dei test per capire se il farmaco fosse efficace. I risultati furono devastanti: «Ma ai nostri richiami non ci fu mai una risposta del Governo»
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19 luglio 2014
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CAGLIARI. Lunedì 19 gennaio 2004. Il santo del giorno è Mario, nato in Persia e martirizzato a Roma nel 270 dopo Cristo, insieme alla moglie e ai due figli. Ma il calendario di Frate Indovino non dice però che proprio dieci anni fa, nella mattina di quel 19 maggio, a essere a essere mandati al supplizio in massa furono anche tutti i pastori di Sardegna. Non tanto loro, quanto le loro greggi di pecore: martizzate in blocco da un vaccino arrivato dal Sudafrica, non sperimentato che dovrebbe fermare la febbre catarrale, o Blue tongue, e invece si rivelerà micidiale fino a uccidere migliaia e migliaia di capi. Ecco perché quella strage poteva essere evitata.

È il 9 gennaio del 2004 quando Vincenzo Caporale, direttore a Teramo del Centro nazionale di riferimento per la Blue tongue, scrive una lunga e riservata lettera a Romano Marabelli, allora direttore generale della sanità pubblica veterinaria del ministero. Il testo originale è questo: «In considerazione delle scarse garanzie oggettivamente riscontrabili sulle vaccinazioni... si ritiene ragionevole segnalare che l’eventualità di un’efficace vaccinazione appare improbabile... sarebbe opportuno al riguardo chiarire, come ritenuto necessario dalla grande maggioranza degli operatori economici, sanitari e politici, la possibile totale sospensione oltre che delle misure di profilassi indiretta, anche di quelle dirette... Distinti saluti».

Nei giorni successivi, alla lettera d’allarme, «attenti a quello che farete con i vaccini», il senso della missiva, è chiarissimo, l’alto dirigente del ministero non solo non rispose, la gettò da qualche parte, nonostante due numeri di protocollo, fino a diventare proprio lui e in quel preciso momento, il carnefice dei pastori sardi. Perché da qualche giorno il dottor Romano Marabelli è indagato dalla Procura di Roma, e nell’elenco c’è anche Vincenzo Caporale, per aver fatto parte della “cupola dei vaccini”: «Negli anni e in concorso con altri, – scrive il pubblico ministero – è stato capace spesso di trasformare le epidemie in affari e carriere, in una commistione tra uffici pubblici e aziende private» e «così da contribuire a diffondere negli allevamenti italiani anche il devastante virus della Blue tongue».

Certo, che lo sapeva, il signor Marabelli: Teramo – a meno che la lettera di Caporale non fosse una copertura studiata dagli indagati – addirittura glielo aveva scritto di stare attento. Basta commettere altre fesserie, ma lui niente: «Monatto era e monatto è rimasto», scrivono i magistrati. Ora la riservata personale del 19 gennaio è una delle prove d’accusa più pesanti per l’attuale segretario generale del ministero della Salute, che almeno ha avuto il buon gusto di dimettersi e dovrà farlo in fretta anche dall’Istituto zooprofilattico di Sassari, dov’è consigliere d’amministrazione, come sollecitato giovedì da una Giunta indignata. Ancora una domanda, su quel passato di dieci anni fa: perché quel 19 gennaio Vincenzo Caporale è così preoccupato? Perché a Cagliari c’è un assessore regionale alla Sanità che non gli dà tregua da settembre. È Roberto Capelli (giunta Masala) in carica da poche settimane, a sua volta allarmato dalle proteste degli allevatori per gli effetti collaterali delle prime campagne di prevenzione anti Blue tongue».

Sarebbe proprio il vaccino sudafricano, del tipo «vivo attenuato», importato da Marabelli, a provocare morti improvvise e un’esagerata quantità di aborti fra le greggi. Capelli scrive al ministero, alla conferenza Stato-Regioni, solleva dubbi, mette al corrente quelli di Roma che qualcosa non va. Non è ascoltato, nonostante dall’Istituto zooprofilattico sardo continuino ad arrivargli quotidiani bollettini di guerra. Alla fine dopo troppe mancate risposte, il 10 gennaio del 2004 viola il divieto imposto dal ministero e decide di far testare a Sassari buona parte dei vaccini, o almeno quelli che dovrebbero aggredire alcuni dei quattro ceppi di febbre catarrale presenti in Sardegna. È una ribellione che Roma non capisce, appare esterrefatta. I funzionari della direzione veterinaria nazionale (che fingevano, a questo punto è chiaro) protestano e comunque con loro si schiera anche il ministro dell’epoca, Sirchia. Capelli non demorde e convince altri assessori del Sud che la «cura è molto peggio del male».

Insinua il dubbio anche nel fino ad allora testardo Centro nazionale per la Blue tongue, quello di Teramo, e con lui alla fine scende in campo anche la conferenza delle Regioni. Ma il ministero non fa lo stesso nulla: tace, minimizza o al massimo tranquillizza i vari tavoli tecnici. Fino a quando dal laboratorio di Sassari non arriva il referto del test sui vaccini: sono devastanti, è la sintesi giornalistica per nulla medica, ma molto reale. È proprio la sentenza dell’Istituto zoooprofilattico a convincere anche i più scettici del «male che è stato fatto». Non Marabelli: lui era e rimane quello che era, un funzionario in grisaglia ministeriale però pare non molto fedele. Oggi Capelli ricorda e dice: «In quei mesi – è stato assessore fino alla primavera del 2004 – da parte del ministero mai ci fu una risposta, definitiva, chiara, esaustiva ed efficace sui vaccini arrivati dal Sudafrica». Il perché l’hanno scoperto i magistrati di Roma: c’era la “cupola” e c’era Marabelli.

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