La Nuova Sardegna

«Innamorato della Deledda Narratrice straordinaria»

di Fabio Canessa

Parla Angelo Maresca , regista del film “La madre”, tratto dal libro della scrittrice Protagonisti della pellicola Stefano Dionisi e l’attrice spagnola Carmen Maura

14 luglio 2014
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Presentato e ben accolto in diversi festival internazionali, in Francia e negli Stati Uniti, da qualche giorno è in sala “La madre”, liberamente ispirato all'omonimo romanzo di Grazia Deledda. Prodotto da Flavia Parnasi della Combo Produzioni, il film è diretto dal marchigiano Angelo Maresca, al suo primo lungometraggio dopo una lunga carriera come attore in teatro, cinema e televisione.

Maresca, come è arrivato a Grazia Deledda?

«Quando andavo al liceo ce l'avevano nominata, ma alla fine non fatta studiare. Ci si dimentica quasi che questa donna ha vinto il Nobel per la letteratura. Nel 2009 mi trovavo a Nuoro per uno spettacolo e una mattina ho deciso di andare a vedere la casa-museo della Deledda. Mi ha incuriosito la sua vita, dove è cresciuta, e mi sono messo a leggere un po' tutta la sua produzione. Ho letto anche “La madre” e mi ha colpito più di tutti perché l'ho trovato molto attuale».

Perché ha deciso di spostare il racconto ai giorni nostri?

«Da una parte devo dire perché un film in costume avrebbe avuto dei costi maggiori, proibitivi. Ma è stata anche una scelta registica. Portare i punti fondamentali del romanzo, il rapporto di questa madre con il figlio prete, ai giorni nostri ma in un tempo non ben definito. Per l'attualità della tematica di cui parla la vicenda: il dilemma del confine tra il bene e il male, nel senso profondamente cristiano».

Anche l'ambientazione non è ben definita.

«Sì, ho ritenuto fosse più interessante collocare la storia in un luogo quasi metafisico, un non luogo».

E dove avete girato?

«A Roma, all'Eur. Mi ha sempre inquietato quel quartiere. Le palazzine enormi, il marmo bianco. Per la chiesa ho scelto una struttura moderna, vuota, non ricca come le chiese antiche dove si respira spiritualità. La particolare descrizione scenografica mi serviva anche per far capire meglio, con meno parole, lo stato d'animo dei personaggi».

Colpisce a proposito la costruzione per sottrazione che è abbastanza rara nel cinema italiano. Da cosa deriva questa scelta?

«Volevo che le persone fossero concentrate sulla storia, su quello che sta per succedere nel corso dell'evoluzione del film. E che a parlare fossero soprattutto le immagini. Per questo anche i dialoghi sono super essenziali».

Le prime parole arrivano dopo ben dieci minuti.

«Se uno ci pensa, in fondo nella vita reale ci succede di non parlare anche per ore. L'inizio serve a catapultare lo spettatore subito nella storia e le parole secondo me non servivano in tutta quella scena costruita su Paolo che si prepara a uscire di notte per andare da Agnese».

Quali sono state le difficoltà maggiori legate alla trasposizione? C'è stato qualche passaggio del romanzo particolarmente complicato da trasformare in immagini?

«Seguire passo per passo il romanzo significava fare un lungometraggio in costume e il film rischiava di diventare una fiction. Portandolo ai giorni d'oggi ho cercato di cogliere l'essenza del romanzo, di restituire i punti fondamentali che credo interessavano alla scrittrice. Come libertà, cambiamento rispetto al libro, c'è il finale. La Deledda si concentra sulla madre, con la sua morte. Io mi sono concentrato invece soprattutto su Paolo, sul prete, la sua scelta o non scelta che non posso rivelare nei dettagli per chi non ha visto il film».

La narrazione coinvolge pochi personaggi e tutto ruota intorno a Paolo, Agnese e la madre Maddalena. Come ha scelto gli interpreti?

«Stefano Dionisi mi è sempre piaciuto. Penso sia uno degli attori migliori che abbiamo nel cinema italiano. Ha avuto una carriera molto importante all'inizio, poi si è un po' fermato anche per problemi personali. È stato eccezionale, io Paolo me lo immaginavo così, come Stefano. Laura Baldi, oltre che brava, è una bellissima donna. E doveva essere così, algida e affascinante. Una bellezza che doveva in qualche giustificare l'azione di un prete che mette in discussione un po' tutto. Carmen Maura è una grandissima attrice che non ha bisogno di presentazioni. In pratica è lei che ha scelto me. Le ho mandato la sceneggiatura e ha fortunatamente accettato».

Per l'ultima domanda torniamo alla Deledda. In futuro le piacerebbe portare al cinema un altro romanzo della scrittrice?

«Trovo molto belli “Canne al vento” e “Cenere”. Ma in generale tutti i suoi libri. Realizzare un'altra trasposizione mi piacerebbe, ma adesso non è il momento di pensarci. Vedremo. So che è stato già un azzardo scegliere “La madre”. Erano 50 anni che nessuno faceva una operazione del genere. Monicelli aveva preso spunto dal libro per “Proibito”, che però con il romanzo alla fine c'entrava poco. E poi silenzio totale per mezzo secolo. Sapevo quindi il rischio che correvo tirando fuori una scrittrice di questo calibro e non sono mancate delle critiche. Ma son contento che il film non abbia lasciato indifferenti: ha avuto critiche massacranti da una parte, super positive dall'altra. Soprattutto all'estero il film ha ricevuto consensi. L'Italia lo sappiamo è sempre un paese strano, se fai qualcosa di audace ti dicono che sei presuntuoso, se non la fai che sei superficiale».

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