La Nuova Sardegna

L’industria sarda dentro un tunnel

Svanite 11mila buste paga in cinque anni, per ripartire occorre puntare sui progetti ecosostenibili

12 luglio 2014
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CAGLIARI. L’industria continua a scivolare: è finita dentro un tunnel da cui non riesce più a uscire. Sono ben 11mila le buste paga svanite in cinque anni, dal 2007 al 2012, e sono addirittura tre i punti cancellati dalla conta del Prodotto interno lordo, dal 13 al 10,5 per cento. Ma dell’industria la Sardegna non può fare a meno e per evitare il tracollo, deve aggrapparsi ai Fondi europei: da lì bisogna ripartire con progetti ecosostenibili. A metà fra il censimento, la denuncia e i buoni propositi, è tutto scritto nell’ultimo dossier del Consiglio dell’economia e del lavoro. Dopo un’indagine capillare in mezzo al disastro, dopo aver scoperto che alcune eccellenze sono capaci di clamorosi exploit, dopo aver detto che il «buco nelle infrastrutture e nei trasporti è reale ma spesso anche un alibi per piangersi ancora addosso», il Crel ha una sola idea per evitare che l’industria affondi del tutto. «Dobbiamo sfruttare al meglio i due miliardi che l’Europa metterà a disposizione della Sardegna fino al 2020 e con quelli aggredire le criticità», è il messaggio. Antonio Piludu, presidente del Crel, l’ha detto in apertura della presentazione del dossier: «Sappiamo bene quello che non va. Ora dobbiamo decidere se raccogliere o no la nuova sfida e puntare subito su un’industria moderna, non più solo quella delle ciminiere, e ancorata con forza all’ambiente, all’innovazione, alla ricerca. Solo così questo settore può ritornare a essere competitivo e a produrre occupazione». Il relatore Gino Mereu è stato ancora più chiaro: «Bisogna lasciarci alle spalle i troppi errori commessi anche di recente e confessare, una volta per tutte, che non è solo colpa della crisi internazionale se manca il lavoro». Ecco allora quello che non andrà più fatto: l’inadeguatezza della pubblica amministrazione, l’invadenza della politica, la pesantezza della burocrazia, l’esagerata polverizzazione delle imprese, il mancato coordinamento fra le risorse disponibili. «Sono stati questi – ha proseguito Mereu – i fattori di ritardo e oggi la Regione ha il dovere di aggredirli per dare una scossa all’economia». Può sorprendere che il Crel crede ancora nell’industria come fattore trainante, ma una spiegazione c’è: «L’eventuale sua scomparsa – è scritto nel dossier – provocherebbe, oltre che l’ennesima disoccupazione e il crollo dei redditi, anche un drastico calo della produttività che non potrà essere compensata dalla media e piccola impresa oggi ancora troppo debole». In estrema sintesi: «È indispensabile avviare finalmente un nuovo sistema di sviluppo – ha detto Piludu – in netta discontinuità con un passato caratterizzato da modelli ormai vecchi». Allora bisogna puntare su obiettivi precisi: quali? Ancora dalla relazione del Crel: «La Regione deve mettere l’industria nelle condizioni di essere all’altezza della concorrenza nei mercati». Nessuna pretesa dall’industria? Sì, una, secondo il Crel. «Proporre progetti di qualità e di largo respiro». Altrimenti calerà il sipario. (ua)

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