La Nuova Sardegna

Quando i giovani maoisti applaudivano Don Cherry

di Gianni Olla
Quando i giovani maoisti applaudivano Don Cherry

Il concerto del 1976 organizzato a Cagliari dal Movimento studentesco

07 luglio 2014
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Nel marzo del 1976, Sergio Atzeni, ventiquattrenne aspirante giornalista e segretamente già scrittore, si occupava, nelle pagine regionali del quotidiano L’Unità, di un evento abbastanza straordinario nella Sardegna di quegli anni: il concerto dell’Organic Music Theater di Don Cherry, che si svolse in un capannone della Fiera di fronte a quasi tremila spettatori, in piedi o seduti per terra . Atzeni “la buttava” subito in politica – possibile che nel capoluogo non ci sia un vero teatro in cui ospitare certi eventi? – per poi esaltare non solo la grandezza del musicista e della sua “band”, ma anche la partecipazione attiva del pubblico, nonostante la scomodità del luogo. L’articolo è stato recentemente ripubblicato in una raccolta dei suoi scritti giornalisti, curata da Gigliola Sulis per Il Maestrale, e mi è stato inviato da Claudio Loi, autore di ben tre volumi, “Sardinia Hot Jazz”, “Sardinia Jazz”, “Glocal Jazz”, sulle vicende del jazz isolano.

Sono debitore ad entrambi di una reminescenza memoriale. In un articolo pubblicato una decina di anni fa, avevo anticipato quell’evento al 1974: una vera e propria rimozione, visto che la manifestazione fu organizzata dal Movimento Lavoratori per il Socialismo, derivazione nazionale del Movimento Studentesco di Mario Capanna, e che lo scrivente, in quanto militante del Mls, fu tra gli organizzatori. Fatte le mie scuse – come dicono coloro la cui biografia ufficiale ha tenuto nascosti anni imbarazzanti – è facile affermare che di jazz si capiva ben poco a Cagliari e forse anche nel resto d’Italia. A parte Alberto Rodriguez, che mi spiegò amichevolmente chi era Don Cherry, e pochi “alligatori” (la definizione è di Arrigo Polillo) non più giovani, l’onda lunga della rivoluzione musicale giovanile, aveva impedito la popolarizzazione anche di un divo come Louis Armostrong, che non a caso comparve, nel 1968, al festival di Sanremo, tempio del conservatorismo musicale. Persino il rhythm and blues e il soul, che ebbero successo negli anni Sessanta (soprattutto in ambito giovanile) avevano finito per nascondere l’autentica cultura musicale jazzistica, dalla quale derivavano. Fu certamente il festival di Umbria Jazz, nato nel 1973, ad aumentare il tasso di curiosità giovanile, e fu la mia partecipazione, come spettatore, alla memorabile edizione del 1975 (Chet Baker, Charlie Mingus, Elvin Jones, Cecil Taylor, Count Basie) a promuovermi, senza merito, tra i responsabili della manifestazione, con tanto di seccature per i permessi e le trattative con la Questura. Ma soprattutto per l’obbligo di accompagnare, per ben due giorni filati, la famiglia Cherry tra la spiaggia del Poetto e qualche ristorante a buon prezzo dove, comunque, i musicisti e i loro figli mangiavano esclusivamente brodo vegetale letteralmente asciugato da montagne di peperoncino.

Oggi, osservando le foto del concerto, si entra in una dimensione quasi fantastica: sul palco, a lato dei grandi pannelli colorati, dipinti e costruiti dalla compagna lappone-svedese di Cherry e della sua compagna Moki, campeggiava la scritta “Fronte popolare”, lo slogan del Movimento, che certamente faceva a pugni con il messaggio universalista e pacifista del musicista e dei suoi sodali. Negli anni Settanta, infatti, il Don Cherry, smilzo artista dalle giacche di misura larghissima (quasi un personaggio dell’autobiografia di Malcolm X), co-inventore del free jazz assieme a Ornette Coleman, era ormai un ricordo. Alla fine degli anni Sessanta aveva lasciato gli Stati Uniti e girava per l’Europa, protestando contro la guerra del Vietnam. Dopo una stagione a Parigi, che replicava, senza lo stesso successo, i “ruggenti anni Venti” dei primi jazzisti americani, alla fine era approdato – come altri contestatori – in Svezia, terra di libero asilo per oppositori liberatari di ogni Paese. Qui, appunto, aveva conosciuto Moki, la sua nuova compagna, e aveva fondato una scuola musicale, che comprendeva una comunità teatrale di bambini e soprattutto un gruppo musicale che si chiamava appunto Organic Music Theater. L’ultimo termine spiega anche il senso della rappresentazione cagliaritana: una cerimonia esoterica, con canti e movenze – di adulti e bambini – che si rifacevano all’India, al Sud America, ai pellerossa e ai tanti motivi musicali dei “nativi” espropriati dal colonialismo. Insomma, un primo ingenuo tentativo di fare della musica etnica transnazionale. Di quel gruppo, oltre a Cherry, si possono ricordare la piccola Neneh Cherry – oggi cantante affermata – e il fratellastro Eagle-Eye Cherry, ma soprattutto il grandissimo percussionista Nanà Vasconcellos, che ha continuato a frequentare, con altre formazioni, le manifestazioni isolane, compreso il Festival di Sant’Anna Arresi. Al netto delle cantilene e dei ritmi musicali di derivazione etnica, lo spettacolo prendeva vita d’improvviso con gli “assolo” di tromba di Don Cherry che, a risentirli adesso – in qualche registrazione di You Tube – ci riportano, se non al free-jazz, almeno al Be-bop degli anni Cinquanta.

Per tornare al senso ultimo di quell’evento, il paradosso fu che un movimento di estrema sinistra, stalinista e maoista, si trovò ad organizzare un concerto che inneggiava al pacifismo sincretico degli ultimi movimenti “hippies” o delle già avanzanti tendenze spiritualiste che evocavano non la rivoluzione sociale (magari a colpi di pistola: le Br era già nate) ma quella interiore dei mistici indiani. Ma forse questa discrepanza non era avvertita, per ragioni diverse, né dagli organizzatori – che avevano raggiunto lo scopo di finanziare le attività politiche del Mls e di fare un po’ di propaganda politica, sfruttando l’antiamericanismo e l’anti colonialismo del musicista – né dagli spettatori. Questi ultimi, tra i quali i tanti che non erano riusciti ad entrare, perché non avevano i soldi per il biglietto o perché ritenevano che i concerti dovessero essere sempre e comunque gratuiti (il festival del Parco Lambro a Milano, aveva creato un precedente che poi destabilizzò molte manifestazioni musicali, per almeno un decennio), erano forse già in sintonia con i messaggi dell’Organic M. usic Theater: la rivoluzione è finita, divertiamoci stando insieme, fumando spinelli e ascoltando musica. È quel che accadde negli anni successivi, quando il jazz dei grandi musicisti mise radici nell’intera Sardegna. E, appena dieci anni dopo, si rivide Don Cherry, al Festival di Sant’Anna Arresi e poi a Cagliari, nel 1990, di nuovo mutato musicalmente, ma sempre grandissimo artista.

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