La Nuova Sardegna

san sebastiano»la sentenza

di Nadia Cossu

SASSARI. Troppo leggere le pene che il sistema giudiziario italiano prevede per punire fatti gravissimi come quelli che si verificarono ad aprile del 2000 nel carcere di San Sebastiano, a Sassari:...

02 luglio 2014
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SASSARI. Troppo leggere le pene che il sistema giudiziario italiano prevede per punire fatti gravissimi come quelli che si verificarono ad aprile del 2000 nel carcere di San Sebastiano, a Sassari: atti di violenza e umiliazioni che numerosi detenuti furono costretti a subire da parte di una settantina di agenti di polizia penitenziaria. Per questo il ricorso presentato dall’avvocato Giuseppe Onorato per conto di uno di quei detenuti umiliati – ma non certo rassegnati – va accolto.

È una sentenza clamorosa quella pronunciata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo che di fatto condanna l’Italia per aver violato l’articolo 3 della Convenzione europea che così recita: «Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti». Quei circa trenta detenuti di San Sebastiano non subirono torture ma trattamenti inumani e degradanti decisamente sì e l’Italia, nella fattispecie, deve risarcire il danno morale (in tutto ventimila euro) a favore di Valentino Saba, a tutti gli effetti vittima di quelle violenze del 3 aprile di quattordici anni fa. Non si era arreso, lui. Aveva deciso di andare oltre le sentenze – molte di assoluzione e poche di condanna – dei giudici italiani e oltre le prescrizioni e si era rivolto all’avvocato sassarese Giuseppe Onorato perché ascoltasse la sua storia, studiasse il caso e presentasse un ricorso alla Corte di Strasburgo. Ricorso non contro le decisioni – inevitabili – dei giudici del nostro Paese ma contro un sistema che non prevede quel tipo di reato e quindi nemmeno pene adeguate a punirlo. Tecnicamente, la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in riferimento al detenuto Saba, ha riscontrato due violazioni all’articolo 3: una materiale nel momento in cui è stata accertata la cattiva condotta degli agenti di polizia penitenziaria finiti a processo, e una sostanziale perché lo Stato italiano in materia di trattamenti inumani e degradanti dovrebbe avviare una procedura velocissima, a livello investigativo prima ancora che giudiziario. E questo, invece, non è accaduto. Saba aveva subìto offese gravissime, minacce, insulti. Alcuni detenuti erano stati costretti a sfilare nudi davanti agli agenti, altri inondati con secchiate di acqua gelata, picchiati con calci, pugni, schiaffi. «Al mio assistito dicevano che non gli avrebbero fatto fare la doccia – ha spiegato il legale – rovistavano la cella buttando per aria tutto quello che trovavano».

Lo Stato, dopo aver ricevuto la notifica del ricorso, aveva contestato le dichiarazioni di Valentino Saba sostenendo che avrebbe potuto rivalersi in sede civile sulle parti private. Ma la Corte di Strasburgo ha replicato affermando in sintesi che deve essere proprio lo Stato, attraverso le cosiddette “obbligazioni positive”, ad agire perché la persona non venga offesa. Ad adottare norme che puniscano adeguatamente chi “al servizio” dello Stato mette in atto comportamenti inumani.

A sostegno di Valentino Saba, all’epoca del ricorso che risale al 2010 (a sei mesi esatti dalla sentenza definitiva del processo contro gli agenti), erano intervenute – con delle memorie – diverse associazioni di tutela dei detenuti che si erano soffermate proprio sul profilo dell’assenza di norme in grado di rendere giustizia alle vittime del “tunnel degli orrori”.

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