La Nuova Sardegna

Scoperta a Sassari: infezione provoca il cancro alla prostata

di Pier Giorgio Pinna
Scoperta a Sassari: infezione provoca il cancro alla prostata

Curare una malattia venerea può prevenire il tumore, flo diretto tra i microbiologi turritani e l’Ucla di Los Angeles

21 maggio 2014
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SASSARI. Il cancro alla prostata può rivelarsi una malattia da trasmissione sessuale. La scoperta è stata fatta da un'équipe universitaria sassarese a stretto contatto con ricercatori californiani. «La prevenzione e la cura delle patologie dovute a rapporti non protetti servono a bloccare i tumori, esattamente come smettere di fumare elimina la possibilità di contrarre un carcinoma polmonare a causa delle sigarette», spiega adesso Pier Luigi Fiori, coordinatore delle indagini cliniche sul fronte sardo, andate avanti per oltre 2 anni.

Sigillo scientifico. I risultati del report sono stati appena pubblicati su "Proceedings of the National Academy of Science Usa", organo ufficiale dell'Accademia americana. Il periodico è considerato così prestigioso da collocarsi al quinto posto in una classifica che comprende di più di 20mila riviste internazionali. Tant’è vero che nelle ultime 24 ore la notizia sta già facendo il giro del pianeta. E proprio ieri è stata anticipata in Europa dalla Bbc.

Rapporti non protetti. «L'infezione studiata è quella da "Tricomoniasi": molto frequente e, purtroppo, sottostimata», chiarisce Fiori docente ordinario di microbiologia. «Colpisce infatti centinaia di milioni di uomini e donne nel mondo», puntualizzano gli altri autori dell'inchiesta. «Ma l'esito pratico dei nostri esami è già dietro l'angolo: vincere la “Tricomoniasi” equivale a cancellare la possibilità di ammalarsi di cancro alla prostata», spiegano i protagonisti delle indagini. I quali sottolineano come l'infezione cronica di questa patologia produce una proteina, denominata Mif, che secondo quanto ha rivelato lo studio sassarese favorisce l'insorgenza di tumori. Prevenendo la malattia con l'uso dei preservativi, si possono quindi limitare i carcinomi. «E facendo guarire chi l’ha già contratta si ottiene lo stesso risultato», puntualizzano i membri dell'équipe.

Accordo a due con gli Usa. Ma com'è scaturita la collaborazione con i colleghi americani? «È nato tutto in modo molto semplice e in un certo senso casuale, quando nel 2012 a Los Angeles abbiamo presentato i risultati preliminari della nostra indagine sul Mif – risponde Fiori – Alla fine della nostra esposizione dei dati sono stato avvicinato da Patricia Johnson. Lei guida un team sul medesimo filone d'inchieste scientifiche nella prestigiosa Ucla. E in quel momento mi ha detto: "Stiamo studiando anche noi la stessa molecola cattiva"».

Intese e sviluppi. «Ci conoscevamo per aver collaborato in passato – prosegue il professore sassarese – E io, sapendo qual è la loro autorevolezza e di quali mezzi possono disporre nei loro laboratori, per un attimo mi sono sentito perduto. Ma, mentre mi domandavo tra me come avremmo potuto competere con un colosso scientifico di quel calibro, lei ha preso un foglio bianco: da una parte ha scritto Sassari e dall'altra Los Angeles, poi ha tracciato una linea verticale tra le due parti della pagina e mi ha detto: "Facciamo in questo modo: voi gestite i vostri campioni e noi nostri, lavoriamo insieme, uniamo gli sforzi". Ed è così che è cominciato tutto».

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