La Nuova Sardegna

Nella rete dello “strozzo” 20mila famiglie

di Pier Giorgio Pinna

In Sardegna il fenomeno ha assunto dimensioni allarmanti e il quadro più preoccupante è in Gallura

20 maggio 2014
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SASSARI. Soldi e sangue. Sul massacro di Tempio s'allunga nitida l'ombra dei prestiti a strozzo e degli affari sporchi che ruotano attorno ai compro-oro illegali. «Sono», dicono gli investigatori, «due mondi che si muovono sotto traccia: a volte s'incontrano, altre volte restano distanti. Ma hanno un denominatore comune: la disperazione delle vittime». Quell'angoscia che non ti consente di uscire dall'abisso dove sei precipitato. Un fenomeno terribile. Evidenziato nei processi per usura, messo in luce da centinaia di vite spezzate. «Storie grandi e piccole che costituiscono un capitolo a sé nel nostro libro nero», spiegano i criminologi. Una catena d'intrecci impressionanti che può trascinare carnefici e danneggiati verso lo stesso muro d'omertà. Con esplosioni violenza che avevano già trovato in Gallura uno degli epicentri.

Cravattari. Ancora oggi sono più di 20mila le famiglie sarde impigliate nella rete degli strozzini, almeno 5-6mila le aziende coinvolte. Per l'usura, sino a pochi anni fa, l'isola era il fanalino di coda tra le regioni italiane. Adesso si piazza al settimo posto tra le aree più esposte. Ma questo giro di denaro sotto banco - soldi cash a fronte d'interessi che superano il 500 per cento - non è inquadrabile nelle statistiche tradizionali. Chiarissimi i perché: troppi silenzi da parte di tutti, scarsa collaborazione con gli investigatori, connivenze di colletti bianchi. E poi, spesso, sono affiorate coperture insospettabili. Accompagnate dal moltiplicarsi di società finanziarie collegate più o meno direttamente a qualche sportello ufficiale.

Analisi. In Sardegna guardia di finanza, polizia e carabinieri ce la mettono tutta. Ma non è un caso se attentissimi osservatori del fenomeno - nell'acquisizione di dati tanto allarmanti - si trovino soprattutto sul fronte dei sociologi. «Così come non è un caso se le domande presentate per accedere al fondo ministeriale per le vittime dell'usura non siano mai numerose», chiarisce una volontaria della Caritas sarda. Nell’isola sono quindi istituti come l'Eurispes, le onlus contro il racket e gli attivisti di organizzazioni religiose ad avere il quadro particolareggiato di certi meccanismi. Ed è dalle loro analisi che si capisce come le holding dello strozzo imperversino ovunque nell'isola ma siano addirittura floridissime in Gallura. Dove la corsa a questi prestiti illeciti tocca qualsiasi categoria: dal pensionato senza più risorse al negoziante con i fidi in rosso.

I preziosi. «E solo in misura molto ridotta possono venire presentati come diversi gli ambienti che stanno dietro a chi si rivolge ai compratori illegali di gioielli», fa osservare un sacerdote che conosce a fondo le sfaccettature dell'intera questione ma preferisce non figurare con nome e cognome per la delicatezza del suo ruolo.

Interrogativi. Perché, naturalmente, nell'isola ci sono i compro-oro che rispettano le leggi, la maggioranza: i primi a collaborare per segnalare casi sospetti. «Ma da noi operano anche moltissimi trafficanti pronti ad acquistare qualsiasi genere di refurtiva», precisano gli inquirenti. E per la vita quotidiana di tante famiglie, in un'isola che sprofonda sempre più nella povertà, da soli i controlli di polizia contro usurai e ricettatori non possono bastare: «La repressione è una parte del problema, e neppure la più rilevante», ammettono tutti.

Possibili interventi. Così, secondo gli osservatori più attenti, si dovrebbe piuttosto puntare su misure efficaci per arginare lo sfaldamento sociale. Ma i tempi, intanto, si dilatano pericolosamente. E le tensioni crescono. Sino a sfociare in situazioni di non ritorno, sino a spirali di violenza dai contorni drammatici. Sempre ingiustificabili, certo. Ma in questo clima di esasperazione tutt'altro che inattesi o imprevedibili.

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