La Nuova Sardegna

Quando la scienza diventa uno strumento di potere

di Franca Ongaro Basaglia
Quando la scienza diventa uno strumento di potere

All’Università un ciclo di dibattiti sul tema “Corpi tra medicina e diritto” Un inedito di Franca Ongaro Basaglia dal libro “Salute/Malattia”

03 maggio 2014
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Dal libro “Salute/Malattia. Le parole della medicina” pubblichiamo uno stralcio della lezione tenuta da Franca Ongaro Basaglia all'Università di Sassari il 27 aprile 2001, in occasione del conferimento della laurea honoris causa in Scienze politiche.

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di Franca Ongaro Basaglia

Sono profondamente grata all’Università di Sassari e alla Facoltà di Scienze politiche per l'onore che mi viene fatto come riconoscimento alla mia persona e alla mia attività, che tuttavia sento, soprattutto, come riconoscimento a quanti hanno creduto e contribuito, dall'inizio degli anni Sessanta con Franco Basaglia fino a oggi, a un'impresa che ha posto le basi concrete per un cambiamento culturale e sociale di grande portata. L'avvenimento di oggi mi ha costretto a rivedere, rileggere, riordinare cose dette, scritte, fatte negli anni che mi hanno portato a sentire fortemente a quale livello si dibattessero i problemi, di quali intrecci fossero intessute le cose, rispetto alle grandi semplificazioni dell'oggi.

Con la scelta del tema "Tutela, diritti e saperi disciplinari" volevo quindi contenere, almeno in parte, la complessità degli elementi culturali che hanno portato a questo cambiamento, che non ha toccato solo la psichiatria e le sue istituzioni, ma tutto il vasto terreno delle diversità naturali e della loro traduzione culturale e politica in disuguaglianza sociale, come forma di dominio. Mi riferisco alle donne, ai bambini, agli anziani, oltre che ai malati, ai disabili e alle loro istituzioni.

Se attualmente la contraddizione più eclatante di questo modello scientifico è la disumanizzazione della tecnologia medica e l'impossibilità, insieme, di garantire un'assistenza reale diffusa ai bisogni di salute della popolazione, la contraddizione più eclatante del modello di sviluppo economico che si continua a proporre è l'universalizzazione del rischio di cui siamo ora tutti consapevoli in modo sempre più palpabile.

Quando ci si rende conto della parzialità delle risposte scientifiche ai problemi della vita dell’uomo, quindi nel momento in cui si procede a una messa in discussione dei diversi modelli operativi, ci si rende anche conto che proprio la parzialità della scienza, che ha potuto occultare la disuguaglianza, ha contribuito al rafforzarsi di un modello di sviluppo che ha portato all'universalizzazione del rischio da cui nessuno è più al riparo.

Si sta parlando ormai da anni ( ho partecipato alla conferenza di Ottawa dell'Organizzazione mondiale della sanità su questi temi, ed era il 1986 ) di ricomporre l'equilibrio individuo-società-ambiente che è stato rotto in secoli di storia, giocando sul dominio predatorio della natura e sul dominio dei corpi, ma anche sulle diversità naturali per confermarne la disuguaglianza (e la nostra storia di donne ne è uno degli esempi più clamorosi), giocando sulla separazione dei ruoli e delle competenze, sull'occultamento dei bisogni della persona in nome del progresso e del profitto. Dimenticando però che il progresso ha sempre comportato, in realtà, anche un regresso in quanto è sempre stato costruito a spese di qualcuno, ed è anche stato costruito sulla perdita di valori comuni, forme di aggregazione, punti di riferimento unificanti, qualità di vita e di rapporti. Un progresso teso solo allo sviluppo della tecnologia e del profitto ha bisogno di frantumare ogni elemento unificante, di distruggerlo per poter contare su individualità di azioni e di interessi, di bisogni e di egoismi che si avvicini il più possibile al modello di vita proposto e imposto. Il calcolo dei costi/benefici cancella la dialettica tra progresso e regresso, nel momento stesso in cui il beneficio coincide con il profitto, con il consumo che lo consente e che occorre promuovere, e con la conferma dell'onnipotenza del modello, mentre il "costo" resta sempre lo scarto, la perdita in termini umani di chi è fuori gioco.

Se non si arriva a questa consapevolezza, una tecnologia sempre più spinta risulterà vincente, continuando a proporre un'immagine onnipotente della scienza e degli esperti che sembra sempre più cancellare la morte dalla vita, quasi si potesse morire solo di eutanasia, o per offrire i propri organi per i trapianti.

Non intendo con questo sottovalutare l'importanza della tecnologia medica. Sono una persona che ha dovuto ricorrere a più riprese all'aiuto indispensabile della medicina e del servizio pubblico. Ma credo di essere qui, in questo momento, anche grazie agli spazi di libertà, di decisione che mi sono stati consentiti e che ho salvaguardato, alla protezione non invasiva di cui sono stata circondata, alla caparbietà – che mi è congeniale – di non delegare la mia vita, la mia malattia, il mio corpo ad altri. Quindi grazie al rispetto di me che ho ricevuto e difeso e che mi ha consentito di vivere la malattia come parte della mia vita e non come oggetto estraneo, fuori dalla mia portata. Se la morte fa parte della vita, a maggior ragione ne è parte la malattia, ma nel senso che quanto più è nostra, nelle nostre mani, tanto più possiamo dominarla.

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