La Nuova Sardegna

Made in Sardinia con prodotti importati

di Alfredo Franchini
Made in Sardinia con prodotti importati

Confindustria: «Conta solo la qualità delle merci trasformate». Coldiretti replica: «Diano indicazioni chiare sulle etichette»

30 aprile 2014
3 MINUTI DI LETTURA





CAGLIARI. Orgogliosi. Gli industriali sardi usano questo aggettivo per definire il peso del settore alimentare sardo all’interno dell’industria manifatturiera sarda. I numeri sono incoraggianti - spiega il presidente della Confindustria Alberto Scanu - l’alimentare è un settore cardine per l’economia, (il 19%) del manifatturiero. E’ anche il primo dei settori che sta uscendo dalla crisi, però il suo peso economico e la sua proiezione all’export è nettamente inferiore ai dati nazionali. L’obiettivo - spiega Scanu - deve essere quello di costituire un sistema integrato con il settore primario e la distribuzione. Da qui l’esse-o-esse per ragionare sull’alimentare tutti insieme, organizzazioni professionali e Regione coinvolgendo non solo l’assessorato all’agricoltura ma anche Industria e Sanità (per via, ad esempio, dell’epidemia della peste suina, mai eradicata nei decenni). Pierluigi Pinna che in Confindustria ha la delega per il settore alimentare, introduce, però, un nuovo elemento: «Sta prevalendo un’impostazione fuorviante e non rispondente alla realtà quando alcune organizzazioni, (Coldiretti, Ndr), mettono in contrapposizione le produzioni “tipiche” a quelle industriali. In sostanza gettano discredito su chi adopera materie prime non sarde». Gli imprenditori vorrebbero usare materie prime prodotte nell’isola ma le quantità non sono sufficienti. Roberto Bornioli, presidente della Confindustria Nuorese, spiega: «Importiamo l’80% di frutta, verdura, carne. C’è lo spazio per far crescere il nostro Pil considerato che la produttività dei terreni è pari allo 0,7%». A questi dati oscuri si aggiungono i problemi endemici: «Non è che i produttori di salumi non vorrebbero adoperare la carne sarda ma c’è una legge che impedisce l’uso dei suini sardi a causa della peste». Tutto questo per dire due cose: «Non siamo contraffattori», spiega Pierluigi Pinna, «quello che conta sono i saperi della lavorazione. Se si vuole crescere ed esportare si deve ricorrere a materie prime provenienti dall’Italia o dall’estero ma il prodotto è e resta made in Sardinia». Pinna replica alle tesi proposte dalla Coldiretti nel recente convegno sull’agromafia: «Creano danni all’immagine dei prodotti sardi». In serata la Coldiretti ha replicato con una serie di domande agli industruali. In particolare: «Perché Confindustria contesta l’indicazione di origine obbligatoria in etochetta delle materie prime? Non sarebbe più corretto scrivere la dizione: fatto con il determinato quantitativo di prodotto sardo? Perché non scrivere la verità cioè che il prodotto è trasformato in Sardegna»? Gli industriali hanno tesi diverse: nessun protezionismo ma qualità. «Altrimenti non si dovrebbe imbottigliare nemmeno la Coca cola, come si fa a Cagliari», aggiunge Alberto Scanu. Il sistema agricolo sardo non è autosufficiente e può crescere a patto che ci sia un intento comune dalla parte della politica ma anche delle aziende che possono adoperare strumenti come i contratti di rete.«Agricoltura, impresa e consumatori sono un’unica catena», spiega Alberto Scanu, «non deve esserci un anello debole, servono filiere più integrate». Un esempio è il polo distrettuale del pomodoro da industria costituito tra le regioni del Sud.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

In Primo Piano
L’industria delle vacanze

Tassa di soggiorno, per l’isola un tesoretto da 25 milioni di euro

Le nostre iniziative