La Nuova Sardegna

Omelie noiose, preti a lezione di predica

di Mario Girau
Omelie noiose, preti a lezione di predica

Dopo il monito di Papa Francesco la diocesi di Cagliari si apre a un corso sperimentale per migliorare le capacità oratorie

20 aprile 2014
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CAGLIARI. «Il vero sacrificio della Messa è l’omelia». Fino a qualche mese fa era una delle tante boutade sulle prediche ascoltate in chiesa. Ma dopo le parole tranchant di papa Francesco il 4 ottobre ad Assisi: «Basta con queste omelie interminabili, noiose, nelle quali non si capisce niente» la Conferenza episcopale italiana corre ai ripari. Manda 25 preti, di cui 5 sardi (diocesi di Cagliari), a scuola di predicazione.

Si chiama “ProgettOmelia” ed è nato per apprendere l’arte della proclamazione liturgica della parola di Dio. «Sono molti i reclami in relazione a questo importante ministero e non possiamo chiudere le orecchie», aggiunge il Papa nella Evangelii Gaudium, la prima esortazione apostolica di Bergoglio. Franco Puddu, Walter Onano, Paolo Sanna, Ennio Matta e Mario Pili sono i pionieri cagliaritani della rivoluzione nel pulpito.

Per tre mesi, ogni 15 giorni, osservati speciali nelle loro performance oratorie da una suora, tre laici e da don Fabio Trudu, coordinatore regionale del progetto Cei e docente di liturgia nella pontificia facoltà Teologica della Sardegna. «Questi sacerdoti accettano – dice don Trudu – le valutazioni critiche degli osservatori e di lavorare sugli eventuali punti deboli delle loro omelie».

Il progetto, in corso di sperimentazione in 5 diocesi, Torino, Vicenza, Taranto, Cagliari e Siracusa, è stato pensato nel 2012, anno della fede e del Sinodo sulla nuova evangelizzazione, oltre 12 mesi prima che papa Francesco dichiarasse: «Un predicatore che non si prepara non è spirituale, è disordinato e irresponsabile verso i doni che ha ricevuto».

«Il malessere cresce – ha scritto recentemente il vescovo di Alghero-Bosa, Mauro Maria Morfino – quando l’assemblea è costretta a subire pesanti debolezze. La non logicità obiettiva del discorso, la povertà dei contenuti reali, la deriva moralistica, la scarsità della qualità religiosa influiscono in modo determinante». Poi ancora: lunghezza della predica, ripetizioni, linguaggio scialbo, scostante, evanescente vengono indicati come fattori che rendono poco piacevole un’omelia.

L’ex segretario generale dei vescovi, Mariano Crociata, oggi vescovo di Latina, ha definito certe prediche «poltiglia melensa e cibo poco nutriente». Contro le omelie complesse se la prende anche l’ex cardinale di Firenze, Silvano Piovanelli: «I nostri discorsi sembrano fatti in teologhese. Le parole passano sopra le teste senza entrare nella vita, penetrano le orecchie senza toccare il cuore». Benedetto XVI da grande teologo consiglia di evitare omelie generiche e astratte.

«Nel corso di ogni incontro – spiega don Fabio Trudu – abbiamo messo a punto alcune buone pratiche. Nel primo è stata delineata la struttura dell’omelia: caratterizzata da introduzione, corpo centrale e conclusione. Nel secondo l’organizzazione del tempo e l’obiettivo comunicativo. Nel terzo i contenuti, nel quarto incontro i tre linguaggi possibili: parole, voce e comunicazione non verbale».

Per predicare bisogna avere qualcosa da dire, quindi prepararsi e studiare. Non tutti i preti lo fanno.

«Alla radice di questo malvezzo mi pare ci sia – dice monsignor Morfino – un fraintendimento di fondo: il tempo dedicato allo studio sarebbe un tempo sottratto alla gente e alla vita parrocchiale. È il perfetto contrario. Le opere passate nel proprio studio si riverberano sulla sua identità ministeriale come addizione e non come sottrazione».

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