La Nuova Sardegna

Zona franca, ecco le nuove proposte per la Sardegna

di Alfredo Franchini
Zona franca, ecco le nuove proposte per la Sardegna

L’economista Savona: istituire due “free zone” a Cagliari e Porto Torres. Ai vantaggi fiscali devono accompagnarsi infrastrutture e meno burocrazia

14 aprile 2014
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CAGLIARI. Ora che le elezioni sono alle spalle si può ragionare sulla zona franca senza pregiudizi. Con questo intento Aldo Berlinguer, avvocato, ordinario di Diritto comparato, e Tore Cherchi, che da deputato e senatore è stato diverse volte il relatore della legge finanziaria dello Stato, hanno fatto il punto, con un saggio, sull’utilità della zona franca. Tutti i casi esaminati, (dalla zona franca di Shannon in Irlanda alle zone economiche speciali della Polonia) e tutti i giudizi raccolti portano a un risultato: parlare di zona franca integrale in Sardegna «è solo un esercizio di retorica» mentre è bene prendere in considerazione le altre forme. Lo strumento è complesso ma non è da buttare via, a patto che dietro la zona franca ci sia un progetto industriale perché il primo problema della Sardegna è la produzione e il lavoro.

Due le proposte immediate. La prima viene dall’economista Paolo Savona, il quale agli inizi degli anni Ottanta, appena nominato dal Tesoro alla presidenza del Cis, (l’istituto bancario rischiava il fallimento sotto il peso dei debiti di Rovelli), organizzò un convegno per ridare impulso all’idea di zona franca nell’isola.

«Ho riproposto all’attenzione della pubblica opinione sarda la costituzione di due zone franche sperimentali a Cagliari e a Porto Torres», afferma Paolo Savona. «Questo può servire a verificare se creano effettivamente posti di lavoro, diciamo entro due anni, perché per ottenere un abbattimento di tasse dal governo centrale e le autorizzazioni a livello europeo è necessario portare avanti un obiettivo sociale quantificato, come creare 150 mila posti di lavoro per poi ridiscutere i vantaggi dell’attuazione».

Le due zone sperimentali, proposte da Savona, scaturiscono da un dubbio che solleva lo stesso economista: «Perché la politica non sceglie la strada dei punti franchi»? Una strada percorribile già da tempo, prevista dallo Statuto (e dal decreto legislativo Prodi, Ndr). La risposta di Savona è chiara: «Si vuole evitare la reazione dei territori esclusi ma non si tiene in conto che ovunque nasca il lavoro, i vantaggi si estendono a tutta la Sardegna.

I punti franchi sono oggi possibili nei porti di Cagliari, (dove esiste già la perimetrazione ma manca il progetto industriale), Olbia, Oristano, Porto Torres, Portovesme e Arbatax. Spesso a questi porti sono collegate aree industriali che, con la crisi imperante, si sono trasformate in deserti: un tesoro da offrire ai potenziali investitori. La zona franca, insomma, è una misura di politica industriale che dev’essere inserita in un disegno strategico per lo sviluppo. Per questo i modelli di zone franche esistenti sono da studiare ma difficilmente sono esportabili; i principali ostacoli, indicati da molti istituti internazionali e riportati nel libro di Berlinguer e Cherchi sono tre: la burocrazia, la giustizia civile e solo al terzo posto il fisco.

In Irlanda uno dei segreti dello sviluppo è legato all’Agenzia unica di promozione, denominata «Ida», che ha tre compiti: attrarre investimenti dall’estero; assistere le società irlandesi che esportano ma soprattutto coordinare la crescita all’interno di piani industriali. Tradotto: in due mesi l’impresa ottiene tutte le autorizzazioni di cui ha bisogno. Le eventuali zone franche in Sardegna non contrasterebbero con la «Zona di libero scambio» che sarà creata nel Mediterraneo: gli esperti sostengono che lo strumento verrà adattato alle nuove situazioni commerciali.

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