La Nuova Sardegna

Tar scopre e annulla a Sassari un caso di parentopoli

di Pier Giorgio Pinna
Tar scopre e annulla a Sassari un caso di parentopoli

Concorso per ricercatori, i giudici escludono la figlia di un professore e impongono la revisione della graduatoria

11 aprile 2014
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SASSARI. Il Tar ha cassato un altro caso di parentopoli all'università di Sassari. Dopo il ricorso della seconda classificata a un concorso per ricercatori, i giudici hanno ritenuto incompatibile la posizione della vincitrice, Rossella Castellaccio, figlia di un docente dello stesso ateneo. Il Tar ha così ordinato non l'annullamento delle prove ma della sola graduatoria.

«Rossella Castellaccio – sostengono i magistrati – non avrebbe mai dovuto venire ammessa perché la proposta d'avvio della procedura del concorso è stata approvata con deliberazione del Consiglio della facoltà di Lettere della quale all'epoca il padre Angelo era vicepreside: e rimase in tale ruolo fino al 30 giugno 2012».

«Pertanto – rilevano i giudici – sia al tempo dell’approvazione sia al tempo della pubblicazione del bando e delle domande di partecipazione, sussisteva situazione d'incompatibilità».

E tutto perché, secondo quest’interpretazione, c’è stata una palese violazione della legge Gelmini: quella che prevede l’esclusione a priori da certi incarichi di chi nel medesimo ateneo si trova in determinati rapporti familiari con dirigenti e professori già in servizio.

Che cosa succederà adesso? L’amministrazione universitaria dovrà, scrivono ancora i magistrati, «adottare un nuovo provvedimento di nomina del vincitore e di approvazione della graduatoria». Per la ricorrente, Martina Giuffrè, ricercatrice romana seconda classificata dopo le prove, un solo punto di distacco dall’ex vincitrice, si aprono così le porte del primo posto. Un doppio successo, per lei. Il Tar infatti non ha ritenuto di dover cancellare il concorso, com’è successo nel recente passato per vicende in qualche modo analoghe avvenute sempre a Sassari. Per la commissione d’esame e per l’ateneo, che a suo tempo avevano superato indenni le contestazioni mosse sullo stesso concorso dinanzi al Tar da un’altra candidata esclusa, Chantal Arena, la sentenza di ieri equivale invece a una pesante sconfessione. Per ora non si sa verrà presentato appello al Consiglio di Stato.

«Che cosa posso dire? Certo, questa è una sentenza di primo grado, ma sono davvero felice perché le mie ragioni di opposizione sono state riconosciute», ha dichiarato Martina Giuffrè. Che ha smentito di aver vinto nel frattempo concorsi in altre università. E si è detta quindi pronta a cominciare a lavorare non appena le procedure ordinate dal Tar verranno attuate. La sua posizione in aula a Cagliari era stata sostenuta in giudizio da altre due concorrenti, Sofia Venturoli e Valeria Tupiano.

Le prove riguardavano la copertura di un incarico di ricercatore per tre anni (rinnovabile per altri tre) nel dipartimento di Storia, scienza dell'uomo e formazione, uno dei due nati in parte da Lettere grazie alla riforma che ha superato la suddivisione in facoltà negli atenei italiani. La materia d’insegnamento è demo-etno-antropologia.

A suo tempo, l'intero concorso aveva fatto discutere. E parecchio. Intanto, c'era stata una raffica di critiche su modalità e criteri adottati nelle prove: rilievi evidenziati sul web, in particolare sul sito del Coordinamento nazionale dei precari accademici. Poi erano sorti contrasti proprio perché sulla ventina di concorrenti iniziali (solo 6 ammessi agli orali del 18 aprile 2013) figuravano diversi parenti di professori universitari.

Non solo Rossella Castellaccio, figlia di un docente ordinario e storico del Medioevo. Anche la stessa Chantal Arena, esclusa dopo le prime selezioni, figlia di un ex professore, Nicolò Arena, in servizio a Sasssari sino a 5 anni fa, in Medicina. E Susanna Paulis, arrivata terza con 70 punti, figlia dell’ex preside di Lettere a Cagliari e di una sorella del rettore dell’ateneo sassarese, Attilio Mastino. Il quale già mesi fa aveva chiarito: «Se avesse conquistato il primo posto, mia nipote non avrebbe mai potuto essere chiamata in servizio perché la legge Gelmini lo vieta».

In quarta posizione, sino a ieri, un’altra ricercatrice nata nella capitale, appunto quella Valeria Tupiano che ha sostenuto le argomentazioni di Martina Giuffrè. Nessun piazzamento tale da poter venire presa in considerazione neppure in futuro anche per Silvia Venturoli, bolognese, che ha più volte ribadito di aver appoggiato le ragioni della ricorrente solo per questioni di principio.

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