La Nuova Sardegna

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«L’assistenzialismo non serve più»

Proposta alla Regione una strategia per la nuova inclusione sociale

02 aprile 2014
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CAGLIARI. I numeri della crisi fanno spavento ed essere ottimisti è impossibile: 400mila sardi a rischio povertà, la disoccupazione è oltre il muro del 18 per cento, 100mila ex lavoratori in cassa integrazione, altri 100mila sommersi dai debiti e in più c’è la trappola quotidiana della disgregazione sociale. È questo l’inferno in cui è piombata la Sardegna e il Consiglio dell’economia e del lavoro, Crel, è riuscito a ricostruirlo nelle 21 pagine del dossier «Crisi e sistema del welfare». L’ ha presentato a poco più di due anni da un altro studio su «Povertà e inclusione sociale», e purtroppo dal 2011 «la situazione è solo peggiorata», ha detto il presidente del Crel, Antonio Piludu. Però non è il momento di piangersi addosso, serve una scossa economica, culturale e politica. «Oggi – ha sottolineato il coordinatore della commissione, Fabrizio Carta – troppi interventi sono ancora ostaggio del vecchio ’assistenzialismo. Da sempre la Sardegna è in cima alle classifiche sui finanziamenti per contrastare le povertà, ma commette un errore: assistere tampona solo l’emergenza, non risolve il problema. Anzi, rischia di aggravarlo con l’assuefazione a vivere ai margini della società». Secondo il Crel, «è questa la stagione per contrastare l’azzeramento del lavoro, la solitudine degli anziani o dare speranza alle famiglie che vivono con un solo stipendio di mille euro o si aggrappano alla pensione misera, intorno ai 600 euro, dei nonni». Nel consegnare il dossier al presidente della Regione, la commissione ha provato a dettare la nuova strategia per fuggire dall’inferno: «Non chiediamo più finanziamenti – ha detto Piludu – ma interventi di qualità che generino sviluppo, occupazione e crescita culturale». Ad esempio, secondo Carta, devono essere utilizzati meglio i fondi europei: «Fino al 2016 potremmo contare su quasi un miliardo e mezzo. Ebbene, gli interventi dovranno essere mirati sui territori e devono lasciare effetti duraturi». Tre anni fa con il dossier sulle povertà, la proposta – tra l’altro elaborata con gli economisti Francesco Pigliaru e Raffaele Paci, oggi sono governatore e assessore al bilancio – puntava sul reddito minimo di cittadinanza. «Sarebbe potuta essere una delle strategie per scuotere il mondo degli invisibili, ridurre l’invasione del lavoro nero e educare un padre di famiglia disperato a non finire nella tagliola dei debiti irreparabili. Invece – ha detto Piludu – non siamo stati ascoltati». L’emergenza doveva essere affrontata subito con un piano sociale regionale: «Non c’è ancora», è stata la denuncia di Carta, che nell’ultima pagina ha riassunto così quello che dovrebbe essere il nuovo welfare: «Servono sinergie sociali fra i piccoli Comuni, la lotta alla povertà deve avere come obiettivo il rientro nella società di chi oggi è disperato. Vanno rivalutate le arti più antiche, ma allo stesso tempo favorire l’innovazione». Non sarà il vangelo, ma potrebbe essere un ottimo punto di partenza per uscire dal tunnel sempre che la politica smetta di speculare sull’assistenzialismo. (ua)

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