La Nuova Sardegna

Il Museo del Betile, ritorna il progetto dell’archistar Zaha Hadid

di Luciano Marrocu
Il Museo del Betile, ritorna il progetto dell’archistar Zaha Hadid

Thierry Fabre, direttore del Museo Mediterraneo di Marsiglia: «Rafforzerebbe la candidatura di Cagliari a capitale europea della cultura»

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29 marzo 2014
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Thierry Fabre mi chiede a un certo punto: «Beh, che se ne è fatto del vostro Betile». Superata la sorpresa per il fatto che il commissario generale del Museo del Mediterraneo di Marsiglia, il MuCem, sappia del progetto pensato da Renato Soru di un grande museo nel quartiere di Sant’Elia a Cagliari, confesso con qualche imbarazzo che il progetto non è andato avanti. «Sarebbe utile riprenderlo», aggiunge Fabre, «anche pensando alla candidatura di Cagliari a capitale europea della cultura».

Modello francese. Tutto questo dopo una visita al Museo, una straordinaria struttura sospesa tra cielo e mare, dalle linee modernissime ma collegata al forte Saint-Jean iniziato nel XII secolo e destinato per secoli alla difesa del porto di Marsiglia. Il MuCem offre ai visitatori un percorso museale permanente che illustra, in modo fantasioso e innovativo, la civilizzazione del Mediterraneo e destina ampi spazi a mostre permanenti. Ciò che colpisce, comunque, è l’animazione che regna nel MuCem, la quantità di gente, turisti e moltissime le famiglie e le scolaresche. Al MuCem si proiettano film, si tengono conferenze, ci sono laboratori di musica e pittura.

Un sogno nero-blu. Animate soprattutto le sale dedicate alla grande mostra temporanea curata dallo stesso Thierry Fabre che si intitola “Le noir e le bleu. Un rêve mediterranéen” (Il nero e il bleu. Un sogno mediterraneo). Sia l’idea di civilizzazione sia di Mediterraneaneo sono nate nell’età dei Lumi e solo più tardi ha preso forma l’ipotesi di una civilizzazione mediterranea. La mostra esplora questa ipotesi, interrogando il sogno mediterraneo e il suo specchio, da una riva all’altra, dalla luce, il bleu, all’ombra, il nero. Lo fa mostrandoli, il bleu e il nero, sin all’inizio del percorso. Il nero delle famose tavole di Francisco Goya dedicate ai Disastri della guerra e del più celebre dei suoi Capricci, quello che ammonisce come il sonno della ragione generi mostri. Veste di nero il demone che si impossessa dell’uomo quando concepisce, progetta e infine compie la distruzione. In opposizione il bleu, illustrato da un bellissimo Bleu di Joan Mirò del 1961. Confessa Mirò: «Il bleu è il colore dei miei sogni». Commenta una didascalia a fianco del quadro: « E in questa ostinazione a sognare che i processi di civilizzazione trovano il loro senso e la loro direzione».

Nuovo paradigma. Una civilizzazione mediterranea? Il Mediterraneo è anche il luogo del “noi” e degli “altri.” La polarizzazione civilizzazione-barbarie è centrale nella storia del Mediterraneo. Il percorso della mostra fa di tutto per sganciare l’idea di civilizzazione da quel sentimento di unicità e di assoluto che si fa misura della superiorità degli uni sugli altri. Non più “la civilizzazione”, quindi, ma “le civilizzazioni”. La sponda Nord e quella Sud.

L’Italia e l’Africa. Una sezione della mostra è dedicata a Napoleone in Egitto.E mentre non può mancare il famoso quadro di François Watteu che illustra la battaglia delle Piramidi, gli fa da contrappunto il diario di Al-Jabarti, notabile religioso della moschea di El-Azhar, che ci dice come l’occupazione francese abbia significato «corruzione del senso comune, oltre che generale devastazione». Seguono, a poca distanza, le immagini fotografiche di Omar el-Mochatar, il leader della resistenza araba all’occupazione italiana della Libia: Omar El-Mochtar incatenato nelle mani dei funzionari coloniali italiani il 12 settembre del 1931, Omar El-Mochtar impiccato poche settimane dopo. Ma la mostra ci parla anche dell’aspirazione a un sogno mediterraneo condiviso: Paul Valery che chiede all’Europa di non «ordinare il resto del mondo a dei fini europei».

Calamita turistica. Al termine del percorso, Thierry Fabre mi dice come “Le noir e le bleu” sia stata la mostra d’apertura del MuCem, avvenuta nel 2013, l’anno in cui Marsiglia è stata capitale europea della cultura. «Nel programma con cui diversi anni prima Marsiglia presentava la sua candidatura era presente il progetto del MuCem, che poi sarebbe stato inaugurato proprio nel 2013». Faccio presente che la candidatura di Cagliari è per il 2019 e che difficilmente il Betile potrebbe essere pronto per il 2019. «Non importa», dice Thierry Fabre. «Intanto, la sola idea del museo arricchirebbe la candidatura di Cagliari. Ma il premio più grande sarebbe comunque la nascita del museo. Ve lo assicuro, sarebbe un buon affare per Cagliari».

Un buon affare. Sarebbe un buon affare sia per Cagliari sia per la Sardegna, questo è certo. Tanto più che del Betile esiste già un progetto firmato da un architetto famoso, Zaha Hadid. Potrebbe significare per la città, oltre alla riconfigurazione di un’intera sezione del fronte mare, anche la riconquista, una volta per tutte, di Sant’Elia, un tempo borgo di pescatori in un sito di grande valore paesaggistico ma oggi tra i quartieri più degradati e condannato, sino ad oggi, a un destino di isolamento e di separazione.

Mille e una storia. Quanto alla Sardegna avrebbe la grande istituzione museale che le manca, capace di mostrare le diverse espressioni di una civilizzazione tutta nostra ma anche tutta dentro la storia del Mediterraneo. Mille storie da raccontare, non solo quelle già scritte ma anche le tante che potrebbero per l’occasione essere ripensate e scritte in una forma nuova. Sarebbe tra l’altro, il Betile, un momento importante di autocoscienza, un modo per riconsiderare il senso del nostro dirci sardi. Non un puro contenitore di reperti, ma una casa dell’identità che sappia essere aperta e fantasiosa come la struttura architettonica del progetto di Hadid.

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