La Nuova Sardegna

Un’ora in più gratis per non perdere il posto

di Luigi Soriga

Sassari, il caso Cobec: i dipendenti dei market contro i sindacati che osteggiano l’accordo

19 marzo 2014
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SASSARI. Una volta le rivoluzioni si facevano contro i padroni. In tempi di crisi il mondo si capovolge, e capita che i forconi siano puntati contro i sindacati.

La storia dei dipendenti della Cobec di Sassari è emblematica, e potrebbe riscrivere le dinamiche delle vertenze sindacali. La vicenda, in due parole, è questa: i supermercati vendono di meno, i bilanci sono in calo e il titolare Rinaldo Carta prova a correre ai ripari. Vuole però scardinare i sistemi tradizionali: la cassa integrazione, i contratti di solidarietà e gli ammortizzatori sociali in genere non lo entusiasmano. Ragiona da imprenditore, segue le sue logiche: se voglio incrementare i guadagni, provo a offrire più servizi. Per esempio in alcuni punti vendita introduco l’orario continuato. Problema: non posso permettermi di innalzare il costo del lavoro. Soluzione: chiedo ai miei dipendenti di offrire all’azienda un’ora gratis al giorno. Forse in altri tempi i lavoratori l’avrebbero subito mandato a quel paese, ma ora è diverso. La gente si guarda intorno, vede troppi colleghi a spasso o in cassa integrazione. «Quando torno a casa – racconta un dipendente – incrocio gli occhi di mio figlio e mi viene l’angoscia. Ho paura di non potergli garantire un futuro. E non è un timore passeggero, è una roba che non ci dormi la notte».

Così accade l’incredibile: la stragrande maggioranza dei 340 lavoratori Cobec fa quadrato intorno alla proprietà, dà l’assenso al progetto di rilancio, compresa l’ora in beneficienza. E quando i sindacati mettono i paletti, i dipendenti si arrabbiano, organizzano una manifestazione, chiedono a gran voce di essere lasciati in pace. Della serie: fateci lavorare, lo vogliamo noi, fatevi i fatti vostri. Voi, il vostro sguardo rivolto al passato e la vostra incapacità di leggere i tempi.

Sono parole che stanno bene sulla bocca di un Marchionne, ma pronunciate da un addetto alle casse o da un magazziniere fanno venire la pelle d’oca. Eppure le cose stanno così, e la Cobec in questa fase si offre come un modello a sè. «Magari quelli della concorrenza facessero come noi – dicono – ci sarebbero più market aperti e meno disoccupati».

Per i sindacati questo è un punto di non ritorno. Sono spiazzati da una simile presa di posizione, perché la crisi ha prodotto una scollatura devastante. I lavoratori scelgono di difendersi da soli e sono pronti a calpestare secoli di lotte. La posizione della Uil e della Cgil, dei rappresentanti Giampiero Manai e Antonio Rudas, non può che essere netta. Capiscono i dipendenti e l’angoscia di perdere il posto di lavoro: ma è l’ottica di chi si china sul proprio disagio personale. Cioè 340 lavoratori non possono passare sopra i diritti degli altri 10mila in Sardegna. Perché sottoscrivere l’accordo di prossimità proposto da Rinaldo Carta, per i sindacati significherebbe creare un precedente. Cioè avallare un peggioramento delle condizioni retributive rispetto al contratto nazionale. E implicitamente avvantaggiare un’azienda sulle altre. A meno che anche le altre catene commerciali non si adeguino. E questo accadrebbe subito. Il sindacato quindi non può fare eccezioni. I lavoratori lo percepiscono come un ostacolo. E la frattura sembra insanabile.

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