La Nuova Sardegna

La Sardegna dei nuraghi rivive con “L’isola delle torri»

di Sabrina Zedda
La Sardegna dei nuraghi rivive con “L’isola delle torri»

Ieri l’inaugurazione, omaggio per i cento anni dalla nascita di Giovanni Lilliu Nel percorso espositivo un sistema di interpretazione dell’antica civiltà

16 marzo 2014
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CAGLIARI. A volersi fare un’idea d’insieme, fidandosi di ciò che la vista offre appena messo piede nella Torre di San Pancrazio, c’è quasi da rimanere disorientati. Perché “L’Isola delle torri. Giovanni Lilliu e la Sardegna nuragica” è una mostra che si può capire solo dopo averla visitata tutta. Lo sanno le centinaia di persone che ieri non hanno voluto perdere l’inaugurazione dell’esposizione, organizzata dalla Soprintendenza regionale per i beni e le attività culturali e le due Soprintendenze archeologiche isolane. Un omaggio doveroso al Sardus Pater Giovanni Lilliu, che proprio tre giorni fa avrebbe compiuto cent’anni. Ma anche un omaggio alla civiltà sarda, così ricca di doni da offrire ma sino ad ora ancora poco svelata. Sino ad ora perché adesso, con la mostra appena inaugurata, per la Sardegna arriva il riscatto, con migliaia e migliaia di pezzi provenienti non solo da diversi musei dell’isola, ma anche da collezioni custodite nel resto dello Stivale e, soprattutto, portati a nuova vita dopo essere stati sottratti alla criminalità e dopo aver passato decenni in qualche scantinato in attesa del restauro.

Il risultato, raggiunto grazie al lavoro di squadra compiuto anche con le Università di Cagliari e Sassari, con la Direzione generale delle antichità e con il Museo Pigorini di Roma, è uno spaccato di storia mai visto prima. Nei due piani della torre, da una teca all’altra (gli ultimi dettagli, ha svelato il soprintendente per i Beni archeologici di Cagliari e Oristano, Marco Minoja, sono stati sistemati mezzora prima dell’inaugurazione) è tutto un raccontare una civiltà che mostra di essere stata florida, ben in grado di portare avanti commerci con quelle dei paesi vicini, ma anche di offrire un contributo originalissimo alla storia del Mediterraneo.

Metallo, acqua, pietra: sono queste le direttrici attraverso cui si muove la mostra che, partendo dal Nuragico arcaico, attraversa via via tutte le età di quest’epoca, svelando l’evoluzione delle genti, le credenze, il profondo rapporto con la terra e con gli animali. E anche lo stretto legame con la divinità, testimoniato da una quantità di oggetti votivi dove l’ampio uso di simboli rievoca la necessità di chiedere protezione, ma anche di auspicare buona fortuna e abbondanza. Dal complesso di Barumini, da cui parte il percorso, ecco allora spuntare una ciotola d’impasto contenente cenere, carboni e ossicini di volatili e roditori. Qualche teca più in là, ecco, esposti per la prima volta, i resti di piselli, fave e frumento rinvenuti nel nuraghe di Villanovatulo. Solo alcuni dettagli, insieme a brocche, ami, spade, anelli, bottoni, fornelli, della più grande mostra sul Nuragico mai allestita sinora, e visitabile sino a fine settembre, prima di approdare al Pigorini di Roma. «Nostro padre sarebbe stato felice di tutto questo – dice Caterina Lilliu, figlia di Giovanni –. La mostra è un esempio di collaborazione e lui desiderava che tra le istituzioni si lavorasse insieme».

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