La Nuova Sardegna

Inquinamento e salute, rischia la prescrizione anche il “caso Quirra”

di Piero Mannironi
Inquinamento e salute, rischia la prescrizione anche il “caso Quirra”

Già nel 1994 si evidenziò lo stretto rapporto tra degrado delle aree industriali e l’incremento dei tumori

09 marzo 2014
6 MINUTI DI LETTURA





SASSARI. Oggi, nei giorni della rabbia e della delusione, nessuno potrà dire di essere innocente e di non avere debiti con la propria coscienza. Nessuno cioè potrà dire di non sapere e di non aver mai saputo. E proprio per questo motivo brucia ancora di più il fallimento giudiziario dell'inchiesta sull'inquinamento a Porto Torres. Un delitto senza castigo. Perché la prescrizione ha cancellato colpe e responsabilità, decretando una sconfitta della giustizia sostanziale, quella che pretende che vengano sempre saldati i conti per le regole infrante.

Sterilizzando il discorso dai tecnicismi giuridici e dai bizantinismi procedurali, arrivando cioè alla sostanza vera del problema, in questi giorni è stato drammaticamente confermato il fatto che nei processi per disastro ambientale esiste un combinato-disposto che rende altissima la probabilità di non arrivare a una risposta di giustizia: il rapporto tra i tempi stretti di prescrizione e il ruolo dei consulenti tecnici. Già, i consulenti. In inchieste e processi di questo tipo, diventano una bussola per il giudice e per le parti. Con quello che dicono e certificano, con quello che non dicono, ma soprattutto con i tempi che chiedono per il loro lavoro, i periti diventano i veri arbitri. Sono loro, alla fine, che stabiliscono i tempi del processo e diventano strumenti formidabili nelle mani di avvocati che ovviamente puntano al primo risultato utile possibile: la prescrizione, per questi reati vergognosamente breve.

Poligoni e veleni. È una realtà cruda che le paludate parole che rivendicano il sacro principio dei diritti della difesa non riescono a mascherare. E infatti, guarda caso, un altro processo per disastro ambientale, quello per i veleni di Quirra, sta correndo fatalmente verso il binario morto della prescrizione. E allora a nulla saranno serviti il coraggio e la determinazione di un procuratore come Domenico Fiordalisi che ha sfidato il potere militare per fare luce sulla devastazione operata per mezzo secolo su oltre 13mila ettari di Sardegna.

Si diceva prima che l'età dell'innocenza è finita da molto tempo. Da almeno vent'anni esistono infatti studi e ricerche epidemiologiche che legano aree industriali e militari inquinate a un'insorgenza anomala di gravi patologie. Soprattutto tumori. E questa evidenza chiama direttamente in causa la politica. La sua ignavia e la sua debolezza, prima di tutto. E, in alcuni casi, forse addirittura la sua complicità. Mentre tragedie ambientali e umane si consumavano, la politica ha preferito nascondersi dietro le infinite dispute su metodi di rilevamento, in risultati di analisi non coerenti e quindi controversi, in silenzi sospetti e in minimizzazioni inquietanti. Un'eclissi della ragione che ha generato mostri. Come l'agghiacciante e rassegnata considerazione raccolta dal nostro giornale alcuni anni fa nella zona di Quirra: «Meglio un morto di cancro in più di un posto di lavoro in meno».

Il lavoro e il diritto alla vita. La rinuncia della politica, che non ha avuto neppure il coraggio di fissare in legge limiti prescrittivi congrui, ha così prodotto addirittura il rovesciamento delle categorie morali e giuridiche che governano il vivere comunitario: il posto di lavoro visto come bene più prezioso del diritto naturale e costituzionale alla salute e alla vita. Una responsabilità enorme perché è stato inquinato fino alle fondamenta il patto sociale.

Ma studi scientifici e documenti autorevoli, che raccontano uno scenario catastrofico, non possono essere ignorati o rimossi. Uno dei primi è la mappatura fatta nel 1994 dall'istituto di Igiene dell'Università di Sassari sulla mortalità da tumore in Sardegna. Una fotografia feroce dello stretto rapporto tra inquinamento industriale e crescita dei decessi per cancro. Uno studio che non spiega, che non ha la pretesa di scoprire il nesso causale tra agenti patogeni e malattia. Fotografa semplicemente un fatto. È insomma una presa d'atto di una situazione che non ha neppure bisogno di essere spiegata. Da quello studio emerge la mappa dell'inquinamento e della morte: Porto Torres, il Sulcis (soprattutto Portoscuso), Sarroch.

La mappa della morte. Poi, nel 2006, l'allora assessore regionale alla Sanità Nerina Dirindin cercò conferme. Fece perciò monitorare quelle aree potenzialmente "stressate" dalle attività industriali e da quelle militari. Nacque così il "Rapporto sullo stato di salute delle popolazioni residenti in aree interessate da poli industriali, minerari e militari della Regione Sardegna". Lo studio fu condotto dall'associazione temporanea d'impresa Esa (Epidemiologia Sviluppo Ambiente), formata da università di Firenze, Arpa Piemonte e le Asl di Milano e Roma, e finanziato dall'Unione europea. Il risultato fu quasi scontato: nelle aree industriali e minerarie della Sardegna la mortalità per tumori e malattie respiratorie, epatiche e dell'apparato digerente nel ventennio 1981-2001 è stata più alta delle media nazionale. A Porto Torres, il dato di cornice fu questo: rispetto alla media regionale, moriva il 4% in più degli uomini e il 9% delle donne.

Numeri spaventosi. Ma scorporando il dato di Sassari città, che era incluso nella macroarea, si arrivò a numeri spaventosi. Per esempio, la percentuale dei sarcomi dei tessuti molli si impennava fino ad arrivare a un +77% negli uomini e +89% nelle donne rispetto alla media attesa. Nello stesso periodo, cominciarono a diffondersi anche alcuni dati inquietanti dell'area di Portoscuso che il giornalista Antonio Cederna aveva definito «un incubo». Secondo uno studio, l'incidenza dei tumori nel Sulcis era superiore di circa il 10% rispetto alla media sarda. Per alcuni tipi di patologie si arrivava addirittura a un +35%.

Impietosa, poi, la fotografia della zona fatta della Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti, nel febbraio 2001: «Nell'area insistono numerose aziende industriali, che con la loro attività hanno contribuito al grave degrado ambientale in termini di contaminazione dell'aria e delle acque, nonché alla contaminazione dei suoli all'interno e all'esterno dei siti operativi».

Sul Sulcis cominciarono a filtrare anche alcuni dati che fino ad allora erano rimasti riservati. Come l'altissimo tasso di piombo rilevato nel sangue dei bambini di Portoscuso: il 50% in più di quello trovato nei bambini di Sant'Antioco.

Piombo nel sangue. Nel 2008 l'Università di Cagliari nel corso di una ricerca affermò chiaramente la sussistenza di deficit cognitivi in un campione di bambini di Portoscuso, dovuto a valori di piombo nel sangue superiori a 10 milligrammi per decilitro.

E che dire, poi, dello studio su Sarroch pubblicato nella prestigiosa rivista internazionale di epidemiologia "Mutagenesis"?. Scrive l'équipe di studiosi: «I 75 bambini delle scuole elementari costituenti il campione nella ricerca presentano incrementi significativi di danni e di alterazioni del Dna rispetto al campione di confronto estratto dalle aree di campagna (Burcei)».

La certificazione definitiva che Porto Torres e il Sulcis-Iglesiente sono incluse in una lugubre geografia della morte del nostro Paese, è arrivata dallo studio “Sentieri”, commissionato dall’Istituto superiore di sanità. 57 aree marchiate con l’acronimo Sin (Siti di bonifica di interesse nazionale). Un dato che non ha bisogno di commenti: in queste 57 aree, tra il 1995 e il 2001, ci sono state 3.508 morti in più rispetto alle rispettive medie di mortalità regionale. La politica non può più nascondersi, non può più dire di non sapere.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

In Primo Piano
Elezioni comunali

Giuseppe Mascia: «Grande responsabilità che ci assumiamo uniti per governare Sassari»

di Giovanni Bua
Le nostre iniziative