La Nuova Sardegna

Il sacco del territorio lascia solo devastazione

di Gianni Bazzoni
Il sacco del territorio lascia solo devastazione

La grande illusione della chimica che ha generato 15mila posti di lavoro Un periodo d’oro in cui non è stata costruita alcuna alternativa credibile

08 marzo 2014
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SASSARI. Il reato c’è stato, si sa anche chi l’ha commesso, ma il tempo è scaduto. Il processo è andato per le lunghe e chi era stato chiamato sul banco degli imputati non è più giudicabile. La zona industriale di Porto Torres è simile a molte altre, in Italia, dove finora nessuno ha pagato per le devastazioni che hanno cambiato i connotati a un paesaggio stupendo, che hanno cancellato nuraghi e corsi d’acqua, alimentato il rischio di malattie e di morti per la presenza di sostanze cancerogene in atmosfera, nei terreni, nelle falde acquifere e in mare.

Troppo tardi. Il problema di fondo è che i reati per il danno all’ambiente e alla salute pubblica vengono scoperti sempre con grave ritardo, come in questo caso. E quando si arriva a mettere in piedi un procedimento giudiziario, chi ha originato le devastazioni non c’è più, le società sono cambiate. E con i tempi anche la legislazione ambientale ha una severità e richiede controlli e autorizzazioni che prima non erano neppure nei pensieri di chi - dai governi nazionali e regionali - canalizzava flussi di risorse finanziarie per sostenere imperi che hanno saldato un legame forte tra politica e grandi imprese. Insomma, tra potenti.

Gli ultimi. Può capitare - spesso è così - che il cerino rimanga nelle mani degli ultimi, quasi sempre direttori di stabilimenti ormai cannibalizzati, vicini alla rottamazione, o di responsabili di sistemi che ormai sono avviati a fine corsa.

La Sir di Rovelli. Anche a Porto Torres si è registrato lo stesso finale. Dalla Sir di Nino Rovelli, capace di creare decine di società per inglobare flussi inesauribili di finanziamenti pubblici, fino all’Eni, con la sua miriade di aziende che ancora oggi - per ragioni diverse - sono presenti nella zona industriale turritana. Succede quello che tutti sapevano, anche se molti hanno fatto finta di girarsi dall’altra parte e di turarsi il naso. Gli effetti dell’inquinamento selvaggio, degli scarichi incontrollati nei terreni e nelle acque sono saltati fuori in maniera terribile solo alla fine. Dopo la grande fuga.

La prescrizione. L’Italia è forse l’unico paese al mondo nel quale la prescrizione continua a decorrere per i tre gradi di giudizio, ed è spesso quella “scappatoia legale” che viene ricercata per premiare imputati eccellenti. O, comunque, pezzi di società importanti. Così è andata.

I 39 Sin. La zona industriale di Porto Torres figura tra i 39 Siti di interesse nazionale, è al centro del Piano delle bonifiche, ma il problema maggiore è rappresentato dal fatto che le società responsabili dell’inquinamento hanno cercato in tutti i modi di non pulire il territorio contaminato. Un po’ giocando a scarica barile, riconoscendo soprattutto all’era rovelliana la gran parte delle devastazioni. E un po’ minimizzando danni che, invece, sono gravissimi e che condizionano pesantemente anche i conti dello Stato (specie se si considera quanto incidono le conseguenze sulla salute pubblica, sull’ambiente e sulla rivalutazione della risorse naturali).

Manca un piano. Il grande errore è sempre all’origine. Nella mancanza di idee e di contributi per un piano di sviluppo capace di valorizzare le risorse del territorio e non di annullarle con l’azione del più forte. Per la chimica e la grande industria è accaduto così a Porto Torres. E quell’angolo di Sardegna di fronte al mare è uno degli esempi emblematici. Quando venne costruito il pontile del Petrolchimico non servirono grandi studi e valutazioni di impatto ambientale. Arrivò anche Giulio Andreotti, per il Governo nazionale: si guardarono intorno e la domanda fu una sola: «Va bene qui? Sì, mi sembra il posto giusto, costruiamolo qui».

La grande illusione. Tanto lavoro, salari interessanti che portavano migliaia di persone a scegliere la fabbrica piuttosto che altri impieghi. Porto Torres ha raggiunto anche 15mila occupati negli anni d’oro della chimica. Così lo stabilimento cresceva e l’economia andava di pari passo. Un pallone gonfiato che ha finito per esplodere perché, alla fine, il Petrolchimico è rimasto un gigante con i piedi di argilla. E si è accasciato su se stesso. Nessuno è riuscito a definire le produzioni a valle, a realizzare nella zona industriale i prodotti finiti, in pochi hanno pensato che il grave inquinamento non poteva essere nascosto a lungo e che i danni - in certi casi - sarebbero stati irreversibili. Perché si pensava al presente e non al futuro.

Costi e benefici. I conti non tornano. La grande fabbrica ha diviso in due la Sardegna, ha generato due velocità, sul piano economico e produttivo, e nelle scelte per lo sviluppo. La monocultura della chimica ha succhiato tutte le risorse, ha spazzato via le idee e ha generato la convinzione errata che non fossero necessarie alternative. Che non servisse un piano B. I risultati di oggi sottolineano l’errore e l’incapacità di fronteggiare con armi adeguate il rilancio di un territorio bombardato in una guerra persa su più fronti.

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