La Nuova Sardegna

Per una scuola che insegni ad essere liberi

di Franco Enna
Per una scuola che insegni ad essere liberi

Promotore di una rivoluzione educativa La creatività contro ogni autoritarismo

04 marzo 2014
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di Franco Enna

Non sentivamo parlare di lui da un paio di decenni, ma sapevamo che, nonostante il silenzio delle riviste scolastiche e del mondo della scuola, il grande maestro Mario Lodi era ancora vivo e sempre operativo nel mondo della formazione educativa, nonostante i suoi 92 anni ben portati. La notizia del suo addio definitivo al mondo è giunta come una folgore da una telefonata di un’insegnante del mitico Movimento di cooperazione educativa (Mce), promosso dallo stesso Lodi e da Pino Tamagnini e ben accolto anche da un altro educatore rivoluzionario, Don Milani: due maestri di vita e di scuola che negli anni Sessanta contribuirono alla trasformazione radicale dell’universo educativo, certamente più di quanto abbia mai fatto qualunque ministro della Pubblica istruzione. Tra l’altro, il Movimento di cooperazione educativa è stato molto attivo anche in Sardegna, dove l’insegnamento di Lodi ha lasciato tracce profonde.

In una sua preziosa autobiografia, Lodi racconta di quando, nel 1944, finì in prigione ad opera dei fascisti e di come, dopo la definitiva Liberazione, dovette di fatto proseguire la sua strada di liberatore anticonformista, perché l’impostazione generale del mondo educativo di quegli anni fu tra i settori formativi della nostra vita che non si allontanarono di molto, nella sostanza programmatica, dall’ideologia mussoliniana. Il Movimento di cooperazione educativa dovette fare i conti con un’organizzazione scolastica ancora decisamente autoritaria, antiformativa e stracarica di melensaggini fanciullesche, convinta com’era, la classe insegnante di quegli anni, che fosse ancora pericoloso superare gli schemi autoritari e soprattutto “bambineschi” del modello educativo elementare (ma anche le scuole medie non scherzavano) di quegli anni.

Per Lodi incominciò così un intenso periodo di ricerche, di incontri e di seminari, che piano piano si trasformarono in significati formativi sempre più nuovi e fondamentali. Soprattutto quando Lodi fece sue le tecniche educative del pedagogista francese Celestin Freinet, che lanciò in tutta Europa un’impostazione pedagogica completamente alternativa alla scuola nozionistica di quegli anni. Così anche gli alunni di Mario Lodi e dell’Mce cominciarono a lavorare con il teatro, la pittura, il testo libero, il calcolo “vivente” e con le più varie attività espressive, per arrivare infine alla scrittura di veri e propri libri, come il collaudatissimo racconto lungo “Cipì” (che Lodi scrisse in collaborazione con i propri alunni e che stampò poi a scuola), con una chiara impostazione collaborativa tra maestro e alunni. Una vera e propria rivoluzione copernicana.

Alla fine degli anni Cinquanta Lodi chiede il trasferimento alla scuola elementare del suo paese natale: Vho di Piadena, in provincia di Cremona, dove compone altri libri in collaborazione con i suoi alunni, tra cui il famosissimo “C’è speranza se questo accade a Vho” e “Il paese sbagliati”, nei quali Lodi racconta in prima persona la sua esperienza rivoluzionaria e dove descrive il capovolgimento didattico operato attraverso le tecniche narrative di stampo creativo, grazie alle quali gli alunni imparano a diventare maestri di sé stessi.

Nel 1978 Lodi va in pensione e inizia altre attività nel campo educativo: interviene più volte a difesa della scuola pubblica contro le logiche di privatizzazione dell’istruzione dilaganti, una deriva che negli ultimi anni ha finito per travolgere anche la scuola dell’obbligo, e dirige per tre anni la “Scuola della creatività” a Piadena, in cui i bambini e gli adulti sperimentano le più diverse tecniche creative.

Sino alla fine Lodi non cessa di occuparsi della formazione dei bambini e mette ancora a disposizione il suo talento educativo. Uno degli ultimi strumenti messi a punto è il libro-bianco “Io e la natura”, che invita i bambini dai tre anni in su, con la guida di genitori e nonni, ad osservare direttamente l'ambiente naturale più vicino, conoscere il nome e il comportamento degli esseri viventi e disegnarli sulle pagine bianche del libro. In questo modo il più grande educatore italiano del Novecento voleva non solo gettare, attraverso la scuola, le fondamenta di una nuova cultura ambientale, ma anche aiutare i bambini a staccare lo sguardo dal televisore, ultimo “maestro” egocentrico e spesso diseducativo, da cui un educatore appassionato come Lodi non poteva certo lasciarsi incantare.

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