La Nuova Sardegna

l’analisi

Il rito della vendetta, così rivive un fossile antropologico

di Piero Mannironi
Il rito della vendetta, così rivive un fossile antropologico

di Piero Mannironi Troppo presto per parlare di faida. Ma sicuramente anche troppo presto per escludere una fiammata mortale della vecchia disamistade che ha lasciato come eredità sette croci nel...

20 gennaio 2014
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di Piero Mannironi

Troppo presto per parlare di faida. Ma sicuramente anche troppo presto per escludere una fiammata mortale della vecchia disamistade che ha lasciato come eredità sette croci nel piccolo camposanto di Noragugume. Certo è che, in questa giornata grigia di pioggia sottile, è impossibile non evocare il demone, cioè quel grumo di odio tenace come la gramigna che resiste al tempo e al dolore. Davanti ai corpi straziati dai pallettoni di un padre e di un figlio è dunque quasi logico pensare che il metronomo della morte, alimentato da sentimenti avvelenati e furenti, abbia a ripreso a segnare il tempo dell'odio e del sangue.

Noragugume, minuscolo paese ferito da una guerra terribile tra famiglie alla fine degli anni Novanta, respira oggi di nuovo quell'atmosfera pesante di paura fatta di improvvise bufere violente e di pause nervose in attesa del prossimo funerale.

E se quella di Noragugume fosse davvero faida, cioè quella codificata nelle leggi non scritte della vendetta, vorrebbe dire che nel piccolo paese di trachite sopravvive un fossile antropologico. Perché le disamistade degli anni Ottanta e Novanta, che incendiarono la Barbagia, e soprattutto Mamoiada, Orune e Oniferi, non erano infatti vere faide. Erano qualcosa di diverso anche se altrettanto brutale. Erano uno spietato regolamento di conti sviluppatosi all'interno della galassia oscura dei sequestri di persona. Forse la "contaminazione" partì da Mamoiada, dove la fazione vincente della faida storica, consumatasi in quasi trent'anni, si spaccò drammaticamente, diventando una guerra. I due gruppi cercarono alleanze negli ambienti malavitosi degli altri paesi, tessendo un'invisibile trama capace di legare antiche solidarietà criminali, riannodando i fili di amicizie familiari storiche e antichi favori che attendevano un ritorno.

L'effetto di queste strategie produsse un effetto devastante. Perché se una delle due fazioni di Mamoiada siglava un'alleanza in un altro paese, automaticamente acquistava un nuovo nemico. Il perché è semplice: nel cuore della Barbagia molti centri erano divisi da inimicizie storiche, da rancori mai sopiti originati da antiche contese. La conseguenza fu che lo scontro iniziale di Mamoiada diventò un potente catalizzatore dell'odio. Un'infernale reazione a catena in tutto il centro Sardegna nella quale la logica, semplice e gelida, era: i nemici dei miei amici sono miei nemici.

Questo meccanismo non venne inizialmente percepito e così si arrivò a una conclusione con elementi di verità, ma troppo superficiale, sbagliata nella sostanza profonda. Perché non svelava la complessità di quella guerra totale. Si pensò infatti che in ogni singolo paese barbaricino fossero esplose nuove faide o si fossero risvegliate antiche guerre familiari. Poi, lo scenario andò definendosi meglio: ogni delitto contribuiva infatti a diradare la nebbia ingannevole che portava a un'analisi parziale di quella stagione di odio incandescente e di crudeli esecuzioni.

Si arrivò perfino a conoscere alcuni dettagli nelle agghiaccianti geometrie di quella guerra. Per esempio: si era arrivati a uccidere per fare un favore, senza che la "commissione" fosse richiesta. Cioè si era eliminato il nemico di qualcuno in un altro paese per trasformare quel qualcuno da amico in alleato e quindi in potenziale complice in quello che stava diventando un gigantesco regolamento di conti. E così, quando lo scontro di Mamoiada si esaurì, lentamente si spensero, una dopo l'altra, anche tutte quelle guerre che erano state interpretate come altrettante faide. Non era certo la prova di un paradigma investigativo, ma sicuramente era un elemento fortissimo che faceva da collante a un'interpretazione dei fatti nata da intercettazioni, confidenze, deduzioni e perfino qualche prova giudiziaria certa.

Se si vuole arrivare a una sintesi, si può quindi dire che per alcuni anni si era combattuta una guerra che altro non era che un gigantesco regolamento di conti all'interno dell'aristocrazia criminale barbaricina. Niente a che vedere con la faida tradizionale, quindi. Per intendersi, quella codificata da Antonio Pigliaru con la sue regole fatte di tempi e di proporzionalità tra offesa e reazione.

Quell’antico rito selvaggio sembra invece vivere ancora oggi a Noragugume.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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