La Nuova Sardegna

Il padre dell’imputato: una tortura per tutti

Il padre dell’imputato: una tortura per tutti

La madre: l’ex ministro Pisanu mi disse di chiedere ai vicini se avevano visto qualcosa

17 gennaio 2014
2 MINUTI DI LETTURA





NUORO. La mamma di Francesco Rocca, Mariuccia Marchi, una vita da medico condotto a Gavoi, pur provata da una mattina di attesa, in aula ricorda che «l’indomani della morte di Dina, il ministro Beppe Pisanu era venuto a casa e mi aveva pregata di chiedere ai vicini se avevano visto qualcosa. Mi ha detto “Questo segreto rimarrà tra noi”. Io gli avevo detto che i vicini avevano sentito la bambina piangere. E così, il giorno dopo, sono andata da Lidia Piras. Ma poi a me nessuno ha riferito mai niente”». Il padre di Rocca, Tonino (nella foto), nel corso di una deposizione che sul finale si trasforma in sfogo, ricorda soprattutto, che tutta la famiglia Rocca, dopo il delitto, si era mossa per sapere qualcosa sulla morte di Dina.

«Mi sono rivolto a tutta la Sardegna – dice ieri in udienza, il padre di Francesco Rocca, anche lui medico da tempo in pensione – ma dopo aver mobilitato mari e monti, l’unico che è venuto da me per parlare è stato il padre del bambino di Gavoi che quella sera ha visto un uomo sull’1 e 70 di altezza. Io gli ho detto “Grazie, ora vai dalla polizia a dirlo”». Ricorda tanto e non senza sofferenza, Tonino Rocca, della vicenda umana, giudiziaria e familiare che da cinque anni, dice, è costata così tanto alla sua famiglia. Rispondendo alle domande del pm Tronci, degli avvocati Lai e Manconi, ricorda ad esempio quei brutti anni passati tra due tentativi di sequestro, fucilate e agguati scampati. Ricorda la storia del cosiddetto “terreno conteso” nelle campagne di Gavoi sul quale le indagini, per qualche anno, si sono concentrate per dare un volto al killer della povera Dina. Precisa che né lui, né la sua famiglia hanno «mai accusato Gavino Pira”, e che era stato Giuseppe Dore, piuttosto, «a sputare sul corteo di nozze di Gavino Pira ». Ricorda anche che il figlio e la nuora, «erano spendaccioni. Mio figlio aveva cambiato nove macchine in pochi anni ma è anche la persona più generosa che conosco. Poi, quando ha dovuto smettere di lavorare, e c’erano le tasse da pagare, ho dovuto aiutarlo». Poi, sul finale, Rocca si abbandona a un piccolo sfogo sincero. «Nessuno se lo ricorda – dice – ma quando è morta Dina, abbiamo pianto tanto tutti. È stata una tortura anche per noi. Perché Dina era con noi, la sera prima, e abbiamo visto i primi passi di Elisabetta. Noi siamo sempre stati una famiglia che ha lavorato con la giustizia, e ci crediamo ancora: in quella terrena, e in quella divina». (v.g.)

In Primo Piano
Turismo

In Sardegna un tesoretto di 25 milioni dall’imposta di soggiorno: in testa c’è Olbia

di Salvatore Santoni
Le nostre iniziative