La Nuova Sardegna

Addio a Bagedda, una vita segnata dai sequestri

Addio a Bagedda, una vita segnata dai sequestri

Aveva 93 anni. Difese Graziano Mesina e altri protagonisti del banditismo Ma fu anche condannato per il rapimento Concato: nel 1999 ottenne la grazia

17 gennaio 2014
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NUORO. Bruno Bagedda, 93 anni, l’avvocato con il papillon diventato famoso per le sue arringhe appassionate in difesa di Graziano Mesina e per essere rimasto coinvolto in un sequestro di persona, è morto nella sua casa di via Gramsci alle 5 di ieri mattina. Le sue già precarie condizioni di salute si erano aggravate da circa un mese, da quando era morta la moglie. Dopo un ricovero in ospedale, visto che la situazione stava diventando sempre più critica, i familiari l’hanno riportato a casa esaudendo così la sua ultima richiesta prima di perdere conoscenza. I funerali saranno celebrati oggi alle 11 nella chiesa delle Grazie.

Originario di Bitti, era considerato uno dei migliori avvocati del Foro di Nuoro, aveva difeso elementi di spicco della malavita sarda, tra i quali la primula rossa del banditismo sardo: l’orgolese Graziano Mesina. Era un avvocato dotato di eloquio eccezionale ed era un piacere ascoltare le sue arringhe appassionate nelle aule dei tribunali in quei processi che venivano seguiti in tutta Italia. E alla fine, si toglieva la toga, indossava il loden, impugnava la sua borsa di pelle e usciva dall’aula impettito, quasi altezzoso. Ma era solo uno scudo momentaneo, perché era sempre disponibile, sorridente, piacevole in compagnia e con la battuta sempre pronta.

Una carriera di altissimo livello, distrutta nei primi anni Ottanta da un’accusa che lui ha sempre ritenuto infamante: concorso in sequestro di persona. Il rapimento del giornalista e imprenditore Leone Concato, prelevato nel maggio del 1977 nella sua casa di Cala di Volpe e mai più tornato a casa. L’arresto, i processi, le battaglie legali, le condanne confermate nei vari grado di giudizio e nelle revisioni, fino a quella definitiva: 14 anni di reclusione. L’umiliazione del carcere, gli arresti domiciliari, i vari tentativi per dimostrare la sua innocenza: inutili. Poi, nel 1999 la concessione della grazia da parte dell’allora Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi per problemi di salute. Ma anche se ormai anziano e affaticato, Bruno Bagedda aveva sempre continuato a lottare, trovando però anche altri stimoli per cercare di dimenticare gli anni dolorosi.

Ed era riemerso dal silenzio nel 2006 con una bellissima lettera di auguri al suo amico poeta e scrittore Francesco Masala per i 90 anni. La vita trascorsa insieme in guerra e collegata alla stagione di “Quelli dalle labbra bianche”, il libro scritto da Cicito Masala. «Nel 1940, mi ero fatto raccomandare per andare in guerra e mi dissero che a Gaeta c’erano due reparti in partenza per il Fronte: il Battaglione Giovani Fascisti (Compagnia Sardegna, comandata dal nuorese Titino Ticca) e la Divisione Torino, il cui primo battaglione era comandato dal Maggiore Pensuti. Partì per primo questo reparto, che io raggiunsi nei pressi di Pola, in attesa dell’invasione della Jugoslavia che iniziò la successiva Pasqua dell’aprile 1941. Giunto al reparto, il collega Fabrizio Aimone Cat (figlio del Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, e nipote di un famoso cardinale) mi disse che nel Reggimento c’era un altro “sardignolo, piccolo e brutto come te”. Era Masala». Alla presentazione, Masala stringendogli forte la mano disse: «Ammentatilu, soe Franziscu Masala. MA-SA-LA!». Una storia bellissima, uno spaccato della durissima Campagna di Russia. Quella lettera di augurio si concludeva così: «Cicito non morrà mai, manco se lo ammazzano». (plp)

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