La Nuova Sardegna

Il più grande giacimento di piatti sardi

di Pasquale Porcu
Il più grande giacimento di piatti sardi

Il segreto di un locale unico che doveva essere assolutamente salvato

15 gennaio 2014
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Questo è un articolo che mai e poi mai avremmo voluto scrivere. La chiusura del ristorante dell’hotel Gallura, infatti, significa che Rita Denza non può tenere aperto il locale. E soprattutto che non ha eredi in grado di proseguire quella unica esperienza gastronomica, culturale e umana.

Il “Gallura” ma soprattutto Rita Denza è stata finora non solo una grande protagonista della ristorazione sarda, ma anche una figura di riferimento prezioso per la cultura del cibo della nostra regione.

Rita non è mai stata un personaggio da proporre in tv come si fa, ormai, con gli chef autorenfereziali e antipatici che puniscono e maltrattano i concorrenti dei cooking show. Certo in tv avrebbe bucato lo schermo, vista la sua personalità creativa e la sua immensa capacità a comunicare. Una virtù che le deriva anche dalle sue origini familiari: l'autore di "Funiculì, Funiculà" era un suo antenato.

E poi Rita è una donna schiva. Non ha mai indossato le divise sgargianti degli chef alla moda: finchè è stata a lavoro girava tra i tavoli con un grembiule da cucina, di quelli che usano le donne di casa, portandoti personalmente a tavola delicatessen di inarrivabile bontà. Rita, infatti, è stata sempre una formidabile detective della migliore materia prima del territorio. Anzi, è stata lei, forse prima di molti altri, che è riuscita a incarnare la perfetta sintesi delle 3 T, "Territorio, tradizione e tecnica" che sono alla base della nuova filosofia del cibo. Quella predicata dalla Accademia Italiana della Cucina e da Slow Food ("Buono, pulito e giusto").

È Rita (in complicità con il suo compagno di una vita, Arnaldo) che ha sempre scovato la migliore materia prima regionale: i capretti di Molara, i caprini di Bonorva, i dolci di Borore, i frutti di mare dell'amico pescatore di Golfo Aranci.

La filosofia di vita di Rita si è sempre identificata con quella del ristorante. Per questo il “Gallura” è stato sempre considerato un grande locale. Con un menu talmente ricco da considerare quella cucina il più grande giacimento di piatti sardi. Non solo non solo della tradizione ma anche di una innovazione fatta di intuizioni e applicazione intelligente della grammatica del gusto non già di bizzarrie create per stupire i consumatori gonzi.

Se le chiedevi di mostrarti il menu ti faceva vedere un volumone più alto della Guida Monaci: non per una sciocca forma di esibizionismo ma come testimonianza di quanto lunga e appassionata fosse la sua sperimentazione in cucina.

Rita non ha mai lasciato indifferenti i suoi interlocutori, chi la conosce se ne innamora sempre (gastronomicamente parlando). Come Luigi Veronelli (non c'era estate trascorsa a Porto Istana, negli utimi anni della vita del guru dell'enologia italiana, che non andasse a pranzo da Rita), o loscrittore Luca Goldoni.

Per mangiare nel suo locale c'era chi prendeva l'aereo privato, come avrebbe fatto per andare a vedersi la prima dell’Aida all'Arena di Verona. Rita ascoltava tutti e sapeva parlare con tutti, senza secondi fini: era disposta ad assaggiare vini, olii, salumi o formaggi che produttori, spesso anonimi, le proponevano. A tutti sapeva dare un consiglio, a molti dava una mano.

E questa straordinaria ricchezza umana, in cucina, si traduceva in piatti che avevano una forte radice sarda ma una vocazione cosmopolita nel senso che avevano la capacità di parlare a tutti i palati qualunque fosse la cultura dei commensali. Peccato che quella ricchezza non sia diventato una scuola stabile per i ristoratori galluresi e sardi. Oggi molti piangeranno per la chiusura del ristorante. Ma chi aveva davvero a a cuore il futuro turistico della Gallura e della Sardegna avrebbe dovuto fare l'impossibile per raccogliere l'eccezionale esperienza professionale di Rita.

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