La Nuova Sardegna

Olbia saluta il nuovo anno con la tristezza nel cuore

di Stefania Puorro
Olbia saluta il nuovo anno con la tristezza nel cuore

La città nella notte di San Silvestro si è stretta in un lungo, silenzioso abbraccio Commozione e speranza durante la messa di mezzanotte nelle parrocchie

02 gennaio 2014
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OLBIA. Forse, nei cuori, c’è la luce nella speranza. Ma allo scoccare della mezzanotte, non appare nessun fascio di luce e di colore. Non si sentono botti. Se nelle case e nei locali si brinda, lo si fa in modo sommesso. Perché l’alluvione è passata, ma il dolore e la devastazione sono ancora tremendamente presenti. E la città, nella notte di San Silvestro, si stringe in un lungo, silenzioso e caloroso abbraccio. Nel rispetto di chi ha perso la vita in quel maledetto 18 novembre e per solidarietà nei confronti di coloro che vivono nel disagio totale.

I messaggi di speranza si sentono nelle chiese, alla messa di mezzanotte. Nella parrocchia di San Michele, al centro di tanti rioni distrutti, ci sono molti alluvionati. «E’ stato un momento di forte commozione - dice don Theron -, perché si pensa al trascorso di una comunità che ha dovuto affrontare un dramma terribile. Ma si è parlato anche di attese, di speranza. La speranza è che le promesse fatte alle famiglie vengano mantenute».

Accanto a chi ha scelto di uscire per un momento di preghiera, l’arrivo del nuovo anno è stato accolto soprattutto in casa. Con tristezza. Gloria Casula, salvata dal cognato insieme ai suoi due figli nel giorno del terrore, cerca di tirare fuori tutta la forza che ha, per andare avanti. «La sensazione che ho provato in questo Capodanno è stata di vuoto tremendo: è come se ci mancasse la terra sotto i piedi. Noi, che viviamo in via Vittorio Bottego, a Isticcadeddu, abbiamo un mutuo trentennale sulla nostra casa divorata dall’acqua, e la banca non ce lo ha sospeso. Siamo tornati qui la settimana di Natale, tra muffa e muri sgretolati. Io ho perso anche la macchina. E ancora non sappiamo nulla di risarcimenti. E pensare che due mesi fa avevo lasciato il mio lavoro per dedicarmi ai bambini. Ora, con un solo stipendio, dobbiamo far fronte a tutto questo. Nulla è passato. Nulla sarà più come prima». Le parole di questa donna, sono anche quelle degli ospiti del Jazz hotel, una quarantina di persone che non sanno quando potranno rimettere piede nelle loro abitazioni inagibili. «La cucina del Jazz - raccontano - è rimasta aperta per noi. Hanno preparato l’aperitivo, poi il cenone. Siamo stati bene, ma senza allegria. L’unica cosa davvero positiva, in questo oceano di dolore, è che le braccia della città e dei tanti volontari continuano a stringerci forte».

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