La Nuova Sardegna

Elezioni regionali, Parisi: «Mi tiro fuori e salvo le primarie»

di Luca Rojch
Elezioni regionali, Parisi: «Mi tiro fuori e salvo le primarie»

Il padre dell’Ulivo non si candida e analizza il caos nel Pd. Il partito è alla ricerca del candidato presidente. «Se tutti i politici coinvolti in una indagine dovessero sospendersi dalle loro cariche, alla fine si salverebbero in pochi»

02 gennaio 2014
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SASSARI. Le primarie uccise dal suo inventore. Per lui è un paradosso inaccettabile. Arturo Parisi è il padre del più democratico sistema di selezione dei leader politici, le primarie. Le regole su quelle che hanno deciso il candidato governatore in Puglia nel 2005 le ha scritte lui. E da sempre, come padre nobile del Pd, ha difeso questo criterio di scelta democratica. Ma ora Parisi è il candidato che tutti vogliono al posto di Francesca Barracciu, la vincitrice delle primarie che è stata convinta a fare un passo indietro. Lui non ci sta e ribadisce in modo fermo il suo rifiuto. «Sento avanzare l’ipotesi di una mia candidatura in sua sostituzione. Per evitare che vada perduto altro tempo prezioso voglio precisare che se avessi ritenuto ci fossero le condizioni per una mia proposta per il governo della Sardegna l’avrei sottoposta nelle elezioni primarie». Ma Parisi si spinge oltre e dà una attenta lettura del momento che vive il Pd dopo lo tsunami di Oristano che ha spazzato via la candidatura della Barracciu e sembra avere cancellato l’utilità delle primarie come strumento di scelta dei candidati.

La svolta drammatica di Oristano segna la morte delle primarie?

«Riconosco che il colpo subito è stato pesante. Ma per parlare di morte ci vuole ben altro. Fortunatamente. Dal gennaio del 2005, quando per la prima volta la proposta ulivista fu sperimentata in Puglia affidando la scelta del candidato alla presidenza della Regione direttamente al voto dei cittadini, le primarie non hanno mai smesso di avanzare. Per la Regione, questa sarebbe stata in Sardegna la prima volta, e allo stesso tempo la prova che i capi partito, che qua operano a livello regionale, avevano veramente capito che era il momento di passare la mano ai cittadini. La soluzione di una difficoltà reale è stata spostata oltre il termine massimo col risultato che il potere che era stato riconosciuto ai cittadini è finito per tornare di nuovo nelle mani dei capicorrente. Non credo che questo arretramento possa tradursi in una stabile restaurazione della delega ai capipartito. È più facile che si riapra una logorante guerriglia tra le resistenze della democrazia delegata e le rivendicazioni della democrazia diretta».

Il passo indietro della Barracciu secondo lei era necessario?

«Io sto a quello che ha detto. Che reggere non le era più possibile. Che per un candidato andare come nel 2009 alle elezioni contro il proprio partito non le sembrava accettabile e, come allora, sarebbe stato alla fine perdente».

Anche tutti gli altri indagati devono fare un passo indietro ed essere esclusi dalla liste?

«Questo potrebbe essere certo l’esito inevitabile per chi ritiene che chiunque sia coinvolto in una indagine debba immediatamente sospendersi dal suo ufficio, e da ogni candidatura. Ma sarebbe la fine. Si salverebbero veramente in pochi. La quantità di persone coinvolte sarebbe innumerevole. Dobbiamo imparare a stare alla legge che considera condannati i condannati non i semplici indagati, e considerare normale che ognuno, cominciando da chi riveste cariche pubbliche, sia chiamato a dare subito conto di ogni suo comportamento e dell’uso delle risorse».

Qualcuno le aveva chiesto di presentarsi alle primarie?

«Il tempo in cui si diceva “alcuni-amici-mi-hanno-chiesto” è ormai alle nostre spalle. È bene che alle primarie ci si presenti in nome di una idea da proporre per il governo della cosa pubblica, e dell’impegno a dare conto alla fine della sua realizzazione. Se non mi sono presentato è perché di proposte ne ho visto anche troppe, e tutte sostenute da proponenti con energie più fresche delle mie».

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