La Nuova Sardegna

Sardegna devastata dal ciclone Cleopatra, basta lacrime di coccodrillo

di Andrea Filippi
Sardegna devastata dal ciclone Cleopatra, basta lacrime di coccodrillo

L’editoriale del direttore della Nuova Sardegna che denuncia le responsabilità del disastro e delle morti provocate dal ciclone che il 18 novembre si è scaricato su un territorio devastato dalla cementificazione selvaggia

21 novembre 2013
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Ci sono i nostri morti da seppellire, ci sono migliaia di persone da soccorrere e rincuorare. Ci sono enormi ferite che il ciclone ha inflitto alla nostra terra e che vanno sanate al più presto. C'è un'economia già sofferente che rischia il colpo di grazia. Oggi in Sardegna, su tutto, vincono il dolore e l'urgenza di portare conforto a chi soffre. È il giorno del lutto, dovremmo piangere in silenzio le sedici vittime innocenti del ciclone, e risparmiare il fiato per rimetterci al lavoro con tutta la forza che ci rimane. Dovremmo. Ma in silenzio non si può più stare. Perché non si può stare zitti ascoltando la favoletta della malasorte, dell'evento straordinario e imprevedibile, qualcosa che accade una volta ogni millennio. E invece tutti gli anni un pezzo di territorio italiano frana o affonda. Oggi è successo alla Sardegna, ieri alla Liguria. Domani a chi? Perché vorremmo sentire parlare sempre meno di protezione civile e sempre più di prevenzione civile. La cura del territorio è anche cura delle persone, ma chi ci amministra spesso finge di ignorarlo. I fondi stanziati dal governo per la messa in sicurezza del nostro territorio sono ridicolmente esigui. E capita pure, guarda caso proprio qui in Sardegna, che quando ci sono vengano dirottati dalla Regione verso altri capitoli di spesa. Perché le polemiche del giorno dopo sul tempismo dell'allarme non hanno senso. E sono ingiuste nei confronti degli uomini della protezione civile, gente generosa, abituata a farsi in quattro per aiutare. Senza coordinamento tra protezione civile ed enti locali, Regione in primis, qualsiasi allarme, anche il più tempestivo e dettagliato, è solo un pezzo di carta.

Vogliamo dare la colpa a Gabrielli se la Sardegna è tra le sei regioni che non hanno ancora avviato i Cdf (Centri Funzionali Decentrati), gli organismi destinati a coordinare i soccorsi in caso di bisogno? O se il 40 per cento dei comuni sardi non ha un piano di emergenza, lo strumento che permette di gestire l'allerta meteo predisponendo aree di evacuazione, vie di fuga e presidi di sicurezza dei fiumi? Eppure sarebbe obbligatorio dal 1970.

Perché siamo stanchi delle lacrime di coccodrillo. Non è solo colpa del destino cinico e baro se è proprio Olbia la città martire di questa catastrofe. Ieri sul nostro giornale il professor Maciocco sottolineava come la città sia stata oggetto negli ultimi anni di una «urbanizzazione incontrollata». Un modo elegante e delicato per spiegare il decennio di edificazioni selvagge avvenute quando in municipio sedeva il sindaco Nizzi. Con ventitrè nuovi quartieri e diciassette piani di risanamento per legalizzare ciò che era nato abusivo.

Perché sarebbe bello che oggi Cappellacci decidesse di sospendere il tour per promuovere il suo Piano paesaggistico, e aprisse invece un confronto serio con tutte quelle voci critiche – a partire dagli ambientalisti per arrivare al ministero – che da mesi denunciano il rischio che, dietro alle nuove norme, si nasconda un allentamento dei vincoli di tutela del territorio sardo, ed il sostanziale via libera ad una nuova, l'ennesima, colata di cemento. Un passo indietro per riflettere, presidente, non sarebbe una sconfitta.

Infine perché temiamo che la doverosa ricerca delle responsabilità si fermi al geometra di turno, al piccolo funzionario, all'ultimo subappaltatore. E che ancora una volta la passino liscia gli intoccabili di sempre, il Grande Partito Sardo del Mattone, quello dell'edilizia a tutti i costi, ovunque e comunque. Quell'intreccio ben cementato – è proprio il caso di dirlo – tra affari, politica e massoneria che la Sardegna conosce e subisce da troppo tempo.

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